Enzo Senatore: borsa tuttofare

Più che ad una valigia dedico il mio pensiero ad una mia borsa di lavoro, regalo di laurea, che ho riempito dei più svariati documenti in quasi circa trent’anni di suo onorato servizio.
E’ stata al mio fianco in stagioni totalmente diverse della mia vita ed in contesti assolutamente disomogenei.
Agli inizi avrebbe dovuto contenere solo libri, codici ed appunti di lezioni; in realtà io le detti quella destinazione, ma solo part-time….prevalentemente in concomitanza di corsi di approfondimento e, prevalentemente, di mattina.

Per due volte durante la settimana e in tutti i fine settimana codici, pandette e simili venivano riposti sul tavolo per fare posto, all’interno della borsa, a distinte di gara, documenti di riconoscimento, schemi di allenamento e di gioco che, particolarmente dal 1991 al 1993, utilizzavo per svolgere le funzioni di allenatore della squadra di calcio denominata “Centro Storico”, una formazione amatoriale della quale avevo assunto la direzione inizialmente con i miei amici Marcello Di Domenico e Mario Fimiani- questi ultimi impegnati in campo- e, successivamente, con gli altrettanto amici Enzo Lampis e Marco Antonio Monaco.
Conclusi gli impegni di campo, la stessa borsa veniva da me utilizzata- in quello stesso periodo- per inserire appunti utili per tenere una trasmissione sportiva domenicale a Radio Nova Campania e per la radiocronaca delle partite della Cavese.

Centro Storico…tanti anni dopo

Sottesa all’uso promiscuo di quella borsa di lavoro vi era una finalità poco nobile…. quella di mascherare agli occhi di mio padre i miei molteplici impegni extra studio che egli, a ragione, considerava come delle autentiche minacce per la mia futura realizzazione professionale….
Ritenevo che, vedendomi uscire di casa sempre con quella borsa di lavoro, egli si rassicurasse circa l’assenza di distrazioni rispetto al mio percorso di studi post universitario…..in realtà mi illudevo….una domenica a mia insaputa venne a vedere al campo sportivo di San Pietro una partita del Centro Storico da me allenato…si giocava il derby contro il San Gaetano Pianesi e ad un quarto d’ora dal termine il risultato non si sbloccava….inserii un attaccante al posto di un centrocampista ed il nuovo entrato pochi istanti dopo siglò il gol della vittoria….al mio ritorno a casa, ad ora di pranzo, mi venne dalle spalle e mi disse: ” Però un allenatore che indovina una sostituzione è bravo”.

Senatore Raffaele…mio padre

Quel complimento mi colse doppiamente di sorpresa….in primo luogo, perchè mio padre non era solito farmene e, soprattutto, perchè mai mi sarei atteso un apprezzamento per la mia improbabile attività di allenatore di calcio…..in ogni caso, fu un modo- molto elegante ed efficace- per farmi capire che lui non si era bevuto la mia messinscena dell’uso promiscuo di quella borsa di lavoro….
In ogni caso, quando gli obiettivi professionali furono raggiunti, per un senso di gratitudine , per avermi fatto compagnia in quel tempo giovanile in così tanti e diversi contesti, portai con me quella borsa di cuoio marrone nei diversi posti in cui mi sono trovato ad operare: in provincia di Catanzaro, a Battipaglia, ad Avellino, a Salerno e, per un breve periodo, anche a Roma.
Poi divenne, d’un tratto, troppo grande e non più necessaria perchè la dematerializzazione del telematico aveva eliminato il cartaceo e, dunque, una PenDrive riposta nel taschino della giacca più comodamente svolgeva le funzioni che un tempo erano state di quella borsa.
Così finì sotto la mia scrivania per rimanervi inutilizzata.
In occasione della riflessione sulla valigia “imposta” dal carissimo Carlo ho provato timidamente a cercarla in qualche armadio, essendo stata, nel frattempo, da “ignote mani” rimossa da sotto alla scrivania. Non l’ho trovata ed a quel punto non ho osato chiedere quando, da chi e come sia stata smaltita…messa da parte fisicamente….certamente non dal mio cuore.




Anna Maria Morgera:La valigia della vita

La mia è una valigia piena di ricordi. E’ un lungo viaggio nella vita, iniziato nel 1940, tempo di guerra a Napoli. Da allora non ho mai smesso di viaggiare con la valigia piena di abiti e con la fantasia. A dieci anni feci il primo lungo viaggio in treno diretta a Venezia, città divenuta poi la mia seconda casa. I viaggi più belli sono stati quelli con Raffaele e le mie tre figlie. Avevamo una Miniminor bianca così carica che il portabagagli non fu più sufficiente e comprammo un carrello. Valige? NOOOO bauli e la immancabile tenda.

Ne potrei raccontare di aneddoti! Quando le figlie divennero grandi non vollero più venire con noi, preferivano gli amici. Vere avventure di due coniugi incoscienti. Valle d’Aosta, Courmayeur. Decidemmo di andare su al rifugio, ma la seggiovia era ferma, la signorina della stazione, con moltissima scortesia ci disse: “Le escursioni sono terminate andate a piedi!” Andare dove? Rammentai che al club alpino mi avevano raccomandato di seguire sempre lo stesso percorso numerato. Per salire a Courmayeur era il numero 4 e ci avviammo. La gente ci passava davanti, salutava e spariva, sui prati signore in costume prendevano il sole.

Salivamo mangiando fontina e pane casereccio, l’orologio segnava sempre le 14, arrivammo in un bellissimo alpeggio, su una roccia lessi: 3250 metri, qui la valanga…” O cavolo !- urlai – dobbiamo tornare immediatamente indietro.” A valle l’orologio segnava le 18…avevamo rischiato di essere presi dal buio e perderci. Spagna, anni sessanta la valigia piena di gioventù, settembre un caldo atroce. A Barcellona prendemmo alloggio all’hotel Gaudi. Stanchi per il lungo viaggio in treno andammo a letto, la valigia sul pavimento, aperta. Nella notte sentii il rumore di una fontana aperta, Raffale al mio fianco non c’era, scesi dal letto per andare a cercarlo e mi trovai con l’acqua alle caviglie. La valigia zuppa e le mutande che nuotavano in un mare d’acqua. Intanto qualcuno bussava con forza alla porta. Avevamo allagato l’albergo…il mio signor marito aveva caldo ed era andato a farsi un bagno, ma…ma …. si era addormentato nella vasca da bagno col rubinetto aperto. Ci cambiarono stanza e dovemmo pagare le donne che vennero a mettere in ordine. Poi la valigia è servita per viaggi affatto ameni, per salute Cava-Milano, Milano-Cava. Ora la valigia è un fardello di memore bellissime e tristezze, di rimpianti, di successi e fallimenti… è.. La valigia della vita.




Francesco Puccio: Valigia smarrita

In quel noi c’era la vita che Sofia non aveva potuto vivere con Damian, che non aveva fatto in tempo, come se avesse ripreso a riempire una valigia così piena di sogni e di aspettative da doversi sedere sopra per poterla chiudere.
In quel noi lei ci vedeva due individui, non più tanto giovani, che stavano mettendo un mattone dopo l’altro sulla vita avvenire, che ora erano in due, ma che presto sarebbero potuti diventare tre o quattro, e loro sarebbero stati lì a dargli la mano per portarli a scuola o a una lezione di danza e d’inglese.
E poi quei figli sarebbero cresciuti e avrebbero fatto da soli, avrebbero portato a casa i primi fidanzati e le prime fidanzate, e non si sarebbe fatto in tempo ad abituarsi alle loro presenze che non li si sarebbe più visti, e avrebbero acceso le prime sigarette, di nascosto, fuori al balcone o chiusi nella stanza a sentire musica a tutto volume e a parlare al telefono per interi pomeriggi.
E le urla delle prime litigate e le ribellioni sul modo di educare, le richieste da grandi mentre dentro erano ancora bambini, i borsoni preparati la domenica sera e ritrovati pieni di panni da lavare il sabato successivo, i viaggi sul continente, e le preoccupazioni di una strada da inventarsi col futuro troppo piccolo per poterlo racchiudere in un pezzo di carta.




Poesia di Angelo Fadini

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Rosaria: La valigia del caffè

Creta, settembre 2002 …

Arrivammo all’aeroporto di Heraklion alle 23, dopo un lunghissimo ritardo… sul nastro dei bagagli trovammo tutte le valigie (allora riuscivo a viaggiare in “comitiva”, eravamo addirittura in 6!!), tranne la mia. “Speriamo che arrivi domani…”, “Sicuramente te la consegneranno al più presto…”Interpretai la grande delusione del gruppo come una prova di amicizia, di solidarietà, di empatia…

Quando, dopo tanto trambusto, riuscimmo ad arrivare al villaggio turistico (addormentato e pressocché vuoto) e a trovare, nel buio, la chiave dei nostri bungalows, ripensai alle frasi dei miei amici, alla loro vicinanza e alla condivisione del mio disagio.
Carlo però rimaneva particolarmente silenzioso, cercava di cambiare discorso e sembrava distante dalle mie preoccupazioni.
Volete sapere perché?
Quando gli chiesi: “Se po’ sape’ cche tiene?”, capii tutto: il “disappunto” dei miei “CARI AMICI”, Antonella, Giuseppe, Enzo e Mimmo era dovuto al fatto che il mio amato maritino li aveva messi al corrente che, nella valigia, c’era pure la MACCHINETTA DEL CAFFE’.
La mia vendetta?
Il giorno seguente, la valigia arrivò direttamente al villaggio e, quando i “quattro” lo seppero, il sorriso illuminò i loro volti ma … bevvero il mio caffè solo dopo due giorni e per intercessione di Carlo!!!




Alfonso D’Arco: La valigia – testimone di una vita

Per un vecchio ex “emigrante” come me, la valigia assume il significato di un oggetto iconico che ha accompagnato i continui spostamenti tra la sede lavorativa ed i luoghi del cuore e delle radici, da raggiungere almeno tre-quattro volte l’anno.

Ma il primo ricordo di una mia valigia “autonoma”, non legata agli spostamenti con i genitori, risale a svariati anni prima, agli anni ’60, quando, con due amici decidemmo di fare un viaggio in auto in Ungheria.
Viaggio culturale? Storico? Sociologico? Politico (allora quella Nazione era al di là della cortina di ferro)?
Nooo! E allora qual’ era lo scopo ?
Ebbene, la motivazione sarebbe balzata agli occhi in modo chiaro ed incontrovertibile se solo qualcuno avesse aperto una delle nostre valigie e avesse scoperto che, tra i nostri indumenti, erano accuratamente deposte calze di seta, rossetti  e materiale vario per il trucco. Naturalmente in piccola quantità, in linea con le nostre limitate possibilità economiche.
Indizi di malcelata omosessualità? Nooo! Semplici, tristi e vigliacche esche per ragazze “generose” che, si diceva, abbondavano, da quelle parti.
Oggi la sensazione è quella di una vergognosa espressione di barbarie culturale, ma allora era del tutto normale!!! Addirittura segno di intraprendenza e di superiorità socioeconomica nei confronti di esseri umani in tutti i casi considerati terreno di conquista.

Il ricordo di quella valigia, soprattutto in senso metaforico, ancora oggi, a tratti, mi ritorna in mente, anche perché quel viaggio ha rischiato di modificare del tutto la mia vita, visto che ho rischiato di diventare, anche se per un periodo più o meno breve, cittadino ungherese. E anche per questo episodio ho da ringraziare il mio amico Mariano per avermi saputo consigliare e fermare in tempo, rispondendo all’ accorato appello di due genitori disperati.

Oltre dieci anni dopo, cambio di passo e via con il continuo fare e disfare valigie di tutte le misure per una famiglia perennemente e felicemente in viaggio tra il luogo del lavoro e quello degli affetti e della memoria.

Con grande spazio per l’accudimento di due piccoli figlioli e per il successivo, usuale, trasporto di prodotti alimentari della nostra terra, al ritorno.

E veniamo ai successivi, mitici viaggi in moto per tutta l’Italia e l’ Europa, fino a Capo Nord, quest’ultimo in compagnia con il mitico motociclista e collega Roberto Coletta.
Qui il ricordo è per la crescente abilità di far entrare in valigie/bagagli necessariamente di modesto volume, tutto il necessario. Anche quando si sarebbe dovuti passare da un clima estivo ad uno “artico”.
In queste felici circostanze, la valigia viene ad essere parte integrante del complesso moto-viaggiatori.
E’ lì che si impara a contenere e razionalizzare i bisogni, soprattutto quelli superflui (naturalmente con il senno di poi). Anche, naturalmente, grazie ai detersivi che avevano definitivamente soppiantato le calze e i belletti da trucco come elementi aggiuntivi del vestiario.

E oggi? Oggi la valigia è un oggetto di design, leggero, elegante, colorato (che differenza con quelle, mitiche, di cartone degli anni 50-60’ !!), dove, dimenticando tutto ciò che avevamo acquisito nei lunghi anni di viaggi motociclistici, riusciamo a stipare una quantità “vergognosa” di roba, il più delle volte inutile, ma che ti da’ un senso di sicurezza, quasi di patetica onnipotenza nei confronti dei possibili imprevisti, soprattutto climatici. E poi, perché no, solletica la tua vanità con la possibilità di cambiare il tuo “outfit” (tanto per stare al passo dei tempi) in relazione agli ambienti e, soprattutto, alle persone che si incontreranno e frequenteranno.
 Ed ecco come e perché un oggetto, all’ apparenza tanto comune ed anonimo come una valigia, riesce a diventare un testimone dei tempi che si vivono e dell’intera esistenza di un essere umano!




Rosa Camerlingo: La ricca valigia fra passato e presente

Mia nonna è  sempre vissuta a casa nostra tutti venivano a trovarla, mai un viaggio.
Ed io adesso sto preparando la valigia per andare a trovare i miei amati nipoti. Improvvisamente il passato diventa presente; penso  a mia nonna, al baricentro della nostra famiglia: lei salda come il sole  con i pianeti-figli e i pianetini nipoti che ci muovevamo grazie alla sua forza di gravità. Tutto è  cambiato adesso sono io  che giro intorno ai pianetini nella speranza di essere illuminata.

Al momento della partenza i pensieri volano e mi sento sospesa dal fatto che devo attraversare l’Italia per trovare i miei nipoti , persone che stanno creando una realtà  nuova e vitale ricca di sorrisi e di luce.

Loro mi aspettano cercano la mia complicità, io il loro abbraccio in un gioco di amore incondizionato. Il mio pensiero diventa infantile: inizia il viaggio nel tempo alla ricerca di dinosauri , mostri, pirati,. Ritorno a costruire ferrovie, treni  e castelli  con i LEGO , ecco i dadi: iniziamo il gioco dell’oca oppure compro terreni con il monopoli ….gli occhi del piccolo diventano due stelle lucenti io  ho lo stesso entusiasmo di giovane/mamma.

La valigia mi inonda di emozioni e sentimenti felici tutti ricordi importanti del mio passato ricco di amore che spero non vada perduto. Il sorriso dei nipoti mi illumina e   allo stesso tempo mi intristisce al pensiero dell’inevitabile e successiva partenza. Ed è in quel momento la valigia rischia di diventare un oggetto  ostile.




Gerardo: Pesanti valigie




Antonio Polichetti: La mia valigia e la porta dei sogni

Raggiungere una stella, da questa terra e in questa vita, non è possibile. Queste luminose città dell’Universo sono inaccessibili ai comuni mortali. Provo, allora, ad osservarle dalla finestra, quando arriva la sera o nelle mattine d’Inverno, quando è ancora presto e tutto sembra così calmo. La vista è ancora più bella in Estate. Adoro stendermi su di un prato e iniziare a cercare le stelle, la mia valigia accanto. Dico mia, ma, in realtà, di lei non so nulla. 

Senza la mia valigia, senza questo oggetto dalle forme più svariate – potrebbe essere un anello, un diario invisibile, potrebbe nascondersi tra i rami di un albero in contrasto con i colori del tramonto o tra le pietre antiche di un rudere abbandonato, potrebbe persino essere un bimbo che gioca con l’acqua al mare e stare tra ricordi d’infanzia che sembrano sogni, potrebbe sembrare bella come ieri – senza la mia valigia, non potrei vedere e sentire nulla veramente, forse. 

Le stelle, dicevo. Per quanto tempo possiamo fissare direttamente il Sole? Molto poco. Gli occhi iniziano a bruciare in un attimo. Una parte, forse immensa, di ciò che soltanto immagino, percepisco o riesco a malapena a vedere, resterà un mistero insondabile per tutta la mia vita. Di fronte a questo, la mia valigia è una fragile porta aperta alla possibilità. Non che con essa certi sogni possano diventare realtà, ma che la realtà possa finalmente aprirsi alla dimensione del sogno, alla libertà dello spirito, credo sia possibile. Ed è questo a rendermi un appassionato della vita: è la mia valigia vuota, che sia accarezzata dal Sole o bagnata fradicia dopo una giornata di pioggia cocciuta. Lacrime e sorrisi possono incontrarsi lì. 

La mia valigia è un punto di vista sul mondo. Anzi, no. La mia valigia aiuta me a cambiare punto di vista sul mondo, a vedere la realtà da tante angolazioni diverse, a cercare scintille, a immaginare. Allena la mia anima, senza scopi predefiniti. 

Ho scoperto di averla tardi, forse. Con lei, riesco a trovare cose che ho dentro. È come se fosse lei a riempire me. Un modello di valigia così, non lo avevo mai trovato prima. In quella valigia vuota, sempre in viaggio, in movimento, c’è la mia vita. 




Massimo Astore: ‘a casa int’a valiggia

Mo ca ‘nce penzo, ‘na valiggia mia nun l’aggio maje tenuta. Ma ‘n’aggio ausate assaje, borze, zaine, burzetelle. Anzi no, poc’anne fa me n’aggia accattata una, cu ‘e rote a quatto, griggia e tosta p’a mpizzà sott’all’aereo. È ‘nu tema bell’assaje sta valiggia. Nun aggio maje avuto ‘na vera casa d’a mia, pure llà n’aggio ausate assaje.

Napule. Furcella, Montesanto, ‘a Sanità. Po’ Firenze, po’ “la comune degli Elfi”, po’ ‘o mutuo e ‘a casa addó sto mo. Mausulejo d’e ricuorde ‘e famiglia. Ma sott’ a ognie liette, avvicin’ e mutande jettate ‘nterra, ‘e fazzoletti chine d’ammore, nce steva sempe ‘na valiggia. Sempe fatta. Sempe pronta. Forze llà dinta stà overamente ‘a casa. E ’e stanze so cazettine, cazune, e mo quase sempe carrecabatterie e tabacco.

Fumo poco. ‘Na sigaretta a miezojuorno e ‘n’ata a sera. ‘E bote svacanto  ‘a valiggia ‘e l’urdemo viaggio quanno sta p’accummincià chillu nuovo. È quase sempe, ‘o spustamento era ed è ‘na trasferta d’ammore. Sempe luntane songhe state ‘e guaglione. E pe ffà ammore m’aggia avuta sempe spustà. L’ammore mio se chiamma Gianna, e sta a 130 km ‘a do stongh’io. ‘A ‘o tiempo d’’o lockdown nun l’avessa potuta vedè. Io a Lamporecchio e essa  a Arezzo. Stessa reggione, pruvincie diverze, ma poco cagnava, era ‘o periodo addo siconno a lloro, nun avessa avuta proprio ascì. Ma furtunatamente io sto ‘n campagna e me ne fujevo ‘a matina ambressa dint’a l’uliveto. E veniteme a piglià. Peró Gianna me mancava, a vulevo vedè. Tenevo voglia e fa ammore e sentì o calore suojo. Allora appriparaje ‘a valigia. Sturiaje tutt’o percorso.

E valiggia addiventaje tutt’a machina. Damiggiane d’acqua, robba ‘a mangià, cuperte, giacchette ’mpermeabili, curtielli, accette, putaturi, carta p’appiccià ‘o fuoco. E pare esagerato, ma era ‘nu viaggio “nell’ignoto”.

M’ero sturiato ‘nu percorso ca sarria stato meglio d’ó chiammà terrorista. Ato ca caz. P’arrivà a Arezzo nce vuleva n’ora e mezza. Io se me ieva bona ce n’avesse miso seje o sette. Passanno pe tutte ‘e strade ‘a llà attuorno e de campagna. Sturiai tappa per tappa, km per km. Solo due snodi non potevo evitare. E me truai a Scandicci avvicino a l’autostrada, erano e doje o e tre i’e notet e di fronte a me sfilaje a machina d’a pulezzia, ma pe furtuna nun se fermaje. P’o riesto, vedette paesaggi meravigliosi, tenevo ‘na emozione di adrenalina unica. Quanno arrivavo int a nu paese stutavo ‘e fari e guidavo cu ‘a luce d’e lampiuni. E vote me fermavo, e ghievo in avanscoperta pe vedè si nce stevano ‘e guardie. Nu par ‘e vote avietta fa ‘o giro a luongo pe strunzià ‘o cuntrollo. Arrivaje ‘a matina ambressa Era aprile e p’a via avevo cugliuto fiori di pesco e già tenevo un bellu mazzo ìe Iris d’o ciardino mio. A turnà fuje chiù strunzo e rilassato, m’atteggiavo a se po ffà, e ‘e carabiniere m’inseguettero a Castiglion Fibocchi e me faccettero ‘a multa. 500 euro ma la puoi contestare. E allora che cazzo m’a faie a fa. ‘O prefetto ma levaje pecchè aveva turná ‘a casa a vedè ‘e figlie mieje. E mo, pe ghj a truà o accucchià ch’ella ca generalmente se chiama famiglia, avessema fa n’appuntamento a metà via. Una a Milano, nat’a Pisa, mamma ‘a Cava, ‘a piccerella a Pistoia, io a ‘na muntagna ‘e diatanza, e a fatica ‘n pianura ‘a chellata parte, ma sempe a 18 km ‘e distanza. E mo pure papà ‘ nparaviso. So sempe stato insoddisfatto, tenevo sempe ‘o pepe ‘nculo. Era fuì. Pensavo sempe vabbuó tanto chesta nun è casa mia. Tant’anni fa quanno ancora stevo a Cava, m’ero fissato per i Bonsai. E accumminciaje a coglie piante a tutte ‘e parte. E a pruà a riproduzione. Talea, margotta, seme. Quaccheduna me l’accattavo.

Mpizzavo ndu terreno e pó, a piantina asceva. Ma a iastemma mia era ed è ‘a talea. Aggio ‘mpizzato spruoccole ‘e tutte ‘e specie, n’da ogni tipo ‘e turreno. Macchè. Niente. Manco ‘na rarechella peccerella. E comme faje a nun penzà, ca si tu si ‘o primmo sradecato, ca nun truove pace, nun nce o passa ‘o spruccolo o pensiero e se attaccà. Invece, comme p’e piante, ‘o seme mio parteva e generava. ‘O fatto è ca ‘a Mamma d’e figlie meje s’abbuffava ‘a panza sulo si a uardavo. Mettimmo incinta. E pó, oi lloco. Anzi a i lloco. Anzi anzi. Ebbì loco. E mo ca scrivo tengo’ a valigia ‘ncopp’ o cummó. Rimane parto. Bla bla Car me sapè buono e tengo tutte belle recensioni. Pare ca’ nzin’a mmo. Chi s’è truato a viaggià cummico, s’è truato  bbuono. Menù male. Vaco và. Aggia ‘nghiudere a valiggia.