Poesia di Angelo Fadini

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Rosaria: La valigia del caffè

Creta, settembre 2002 …

Arrivammo all’aeroporto di Heraklion alle 23, dopo un lunghissimo ritardo… sul nastro dei bagagli trovammo tutte le valigie (allora riuscivo a viaggiare in “comitiva”, eravamo addirittura in 6!!), tranne la mia. “Speriamo che arrivi domani…”, “Sicuramente te la consegneranno al più presto…”Interpretai la grande delusione del gruppo come una prova di amicizia, di solidarietà, di empatia…

Quando, dopo tanto trambusto, riuscimmo ad arrivare al villaggio turistico (addormentato e pressocché vuoto) e a trovare, nel buio, la chiave dei nostri bungalows, ripensai alle frasi dei miei amici, alla loro vicinanza e alla condivisione del mio disagio.
Carlo però rimaneva particolarmente silenzioso, cercava di cambiare discorso e sembrava distante dalle mie preoccupazioni.
Volete sapere perché?
Quando gli chiesi: “Se po’ sape’ cche tiene?”, capii tutto: il “disappunto” dei miei “CARI AMICI”, Antonella, Giuseppe, Enzo e Mimmo era dovuto al fatto che il mio amato maritino li aveva messi al corrente che, nella valigia, c’era pure la MACCHINETTA DEL CAFFE’.
La mia vendetta?
Il giorno seguente, la valigia arrivò direttamente al villaggio e, quando i “quattro” lo seppero, il sorriso illuminò i loro volti ma … bevvero il mio caffè solo dopo due giorni e per intercessione di Carlo!!!




Alfonso D’Arco: La valigia – testimone di una vita

Per un vecchio ex “emigrante” come me, la valigia assume il significato di un oggetto iconico che ha accompagnato i continui spostamenti tra la sede lavorativa ed i luoghi del cuore e delle radici, da raggiungere almeno tre-quattro volte l’anno.

Ma il primo ricordo di una mia valigia “autonoma”, non legata agli spostamenti con i genitori, risale a svariati anni prima, agli anni ’60, quando, con due amici decidemmo di fare un viaggio in auto in Ungheria.
Viaggio culturale? Storico? Sociologico? Politico (allora quella Nazione era al di là della cortina di ferro)?
Nooo! E allora qual’ era lo scopo ?
Ebbene, la motivazione sarebbe balzata agli occhi in modo chiaro ed incontrovertibile se solo qualcuno avesse aperto una delle nostre valigie e avesse scoperto che, tra i nostri indumenti, erano accuratamente deposte calze di seta, rossetti  e materiale vario per il trucco. Naturalmente in piccola quantità, in linea con le nostre limitate possibilità economiche.
Indizi di malcelata omosessualità? Nooo! Semplici, tristi e vigliacche esche per ragazze “generose” che, si diceva, abbondavano, da quelle parti.
Oggi la sensazione è quella di una vergognosa espressione di barbarie culturale, ma allora era del tutto normale!!! Addirittura segno di intraprendenza e di superiorità socioeconomica nei confronti di esseri umani in tutti i casi considerati terreno di conquista.

Il ricordo di quella valigia, soprattutto in senso metaforico, ancora oggi, a tratti, mi ritorna in mente, anche perché quel viaggio ha rischiato di modificare del tutto la mia vita, visto che ho rischiato di diventare, anche se per un periodo più o meno breve, cittadino ungherese. E anche per questo episodio ho da ringraziare il mio amico Mariano per avermi saputo consigliare e fermare in tempo, rispondendo all’ accorato appello di due genitori disperati.

Oltre dieci anni dopo, cambio di passo e via con il continuo fare e disfare valigie di tutte le misure per una famiglia perennemente e felicemente in viaggio tra il luogo del lavoro e quello degli affetti e della memoria.

Con grande spazio per l’accudimento di due piccoli figlioli e per il successivo, usuale, trasporto di prodotti alimentari della nostra terra, al ritorno.

E veniamo ai successivi, mitici viaggi in moto per tutta l’Italia e l’ Europa, fino a Capo Nord, quest’ultimo in compagnia con il mitico motociclista e collega Roberto Coletta.
Qui il ricordo è per la crescente abilità di far entrare in valigie/bagagli necessariamente di modesto volume, tutto il necessario. Anche quando si sarebbe dovuti passare da un clima estivo ad uno “artico”.
In queste felici circostanze, la valigia viene ad essere parte integrante del complesso moto-viaggiatori.
E’ lì che si impara a contenere e razionalizzare i bisogni, soprattutto quelli superflui (naturalmente con il senno di poi). Anche, naturalmente, grazie ai detersivi che avevano definitivamente soppiantato le calze e i belletti da trucco come elementi aggiuntivi del vestiario.

E oggi? Oggi la valigia è un oggetto di design, leggero, elegante, colorato (che differenza con quelle, mitiche, di cartone degli anni 50-60’ !!), dove, dimenticando tutto ciò che avevamo acquisito nei lunghi anni di viaggi motociclistici, riusciamo a stipare una quantità “vergognosa” di roba, il più delle volte inutile, ma che ti da’ un senso di sicurezza, quasi di patetica onnipotenza nei confronti dei possibili imprevisti, soprattutto climatici. E poi, perché no, solletica la tua vanità con la possibilità di cambiare il tuo “outfit” (tanto per stare al passo dei tempi) in relazione agli ambienti e, soprattutto, alle persone che si incontreranno e frequenteranno.
 Ed ecco come e perché un oggetto, all’ apparenza tanto comune ed anonimo come una valigia, riesce a diventare un testimone dei tempi che si vivono e dell’intera esistenza di un essere umano!




Rosa Camerlingo: La ricca valigia fra passato e presente

Mia nonna è  sempre vissuta a casa nostra tutti venivano a trovarla, mai un viaggio.
Ed io adesso sto preparando la valigia per andare a trovare i miei amati nipoti. Improvvisamente il passato diventa presente; penso  a mia nonna, al baricentro della nostra famiglia: lei salda come il sole  con i pianeti-figli e i pianetini nipoti che ci muovevamo grazie alla sua forza di gravità. Tutto è  cambiato adesso sono io  che giro intorno ai pianetini nella speranza di essere illuminata.

Al momento della partenza i pensieri volano e mi sento sospesa dal fatto che devo attraversare l’Italia per trovare i miei nipoti , persone che stanno creando una realtà  nuova e vitale ricca di sorrisi e di luce.

Loro mi aspettano cercano la mia complicità, io il loro abbraccio in un gioco di amore incondizionato. Il mio pensiero diventa infantile: inizia il viaggio nel tempo alla ricerca di dinosauri , mostri, pirati,. Ritorno a costruire ferrovie, treni  e castelli  con i LEGO , ecco i dadi: iniziamo il gioco dell’oca oppure compro terreni con il monopoli ….gli occhi del piccolo diventano due stelle lucenti io  ho lo stesso entusiasmo di giovane/mamma.

La valigia mi inonda di emozioni e sentimenti felici tutti ricordi importanti del mio passato ricco di amore che spero non vada perduto. Il sorriso dei nipoti mi illumina e   allo stesso tempo mi intristisce al pensiero dell’inevitabile e successiva partenza. Ed è in quel momento la valigia rischia di diventare un oggetto  ostile.




Gerardo: Pesanti valigie




Antonio Polichetti: La mia valigia e la porta dei sogni

Raggiungere una stella, da questa terra e in questa vita, non è possibile. Queste luminose città dell’Universo sono inaccessibili ai comuni mortali. Provo, allora, ad osservarle dalla finestra, quando arriva la sera o nelle mattine d’Inverno, quando è ancora presto e tutto sembra così calmo. La vista è ancora più bella in Estate. Adoro stendermi su di un prato e iniziare a cercare le stelle, la mia valigia accanto. Dico mia, ma, in realtà, di lei non so nulla. 

Senza la mia valigia, senza questo oggetto dalle forme più svariate – potrebbe essere un anello, un diario invisibile, potrebbe nascondersi tra i rami di un albero in contrasto con i colori del tramonto o tra le pietre antiche di un rudere abbandonato, potrebbe persino essere un bimbo che gioca con l’acqua al mare e stare tra ricordi d’infanzia che sembrano sogni, potrebbe sembrare bella come ieri – senza la mia valigia, non potrei vedere e sentire nulla veramente, forse. 

Le stelle, dicevo. Per quanto tempo possiamo fissare direttamente il Sole? Molto poco. Gli occhi iniziano a bruciare in un attimo. Una parte, forse immensa, di ciò che soltanto immagino, percepisco o riesco a malapena a vedere, resterà un mistero insondabile per tutta la mia vita. Di fronte a questo, la mia valigia è una fragile porta aperta alla possibilità. Non che con essa certi sogni possano diventare realtà, ma che la realtà possa finalmente aprirsi alla dimensione del sogno, alla libertà dello spirito, credo sia possibile. Ed è questo a rendermi un appassionato della vita: è la mia valigia vuota, che sia accarezzata dal Sole o bagnata fradicia dopo una giornata di pioggia cocciuta. Lacrime e sorrisi possono incontrarsi lì. 

La mia valigia è un punto di vista sul mondo. Anzi, no. La mia valigia aiuta me a cambiare punto di vista sul mondo, a vedere la realtà da tante angolazioni diverse, a cercare scintille, a immaginare. Allena la mia anima, senza scopi predefiniti. 

Ho scoperto di averla tardi, forse. Con lei, riesco a trovare cose che ho dentro. È come se fosse lei a riempire me. Un modello di valigia così, non lo avevo mai trovato prima. In quella valigia vuota, sempre in viaggio, in movimento, c’è la mia vita. 




Massimo Astore: ‘a casa int’a valiggia

Mo ca ‘nce penzo, ‘na valiggia mia nun l’aggio maje tenuta. Ma ‘n’aggio ausate assaje, borze, zaine, burzetelle. Anzi no, poc’anne fa me n’aggia accattata una, cu ‘e rote a quatto, griggia e tosta p’a mpizzà sott’all’aereo. È ‘nu tema bell’assaje sta valiggia. Nun aggio maje avuto ‘na vera casa d’a mia, pure llà n’aggio ausate assaje.

Napule. Furcella, Montesanto, ‘a Sanità. Po’ Firenze, po’ “la comune degli Elfi”, po’ ‘o mutuo e ‘a casa addó sto mo. Mausulejo d’e ricuorde ‘e famiglia. Ma sott’ a ognie liette, avvicin’ e mutande jettate ‘nterra, ‘e fazzoletti chine d’ammore, nce steva sempe ‘na valiggia. Sempe fatta. Sempe pronta. Forze llà dinta stà overamente ‘a casa. E ’e stanze so cazettine, cazune, e mo quase sempe carrecabatterie e tabacco.

Fumo poco. ‘Na sigaretta a miezojuorno e ‘n’ata a sera. ‘E bote svacanto  ‘a valiggia ‘e l’urdemo viaggio quanno sta p’accummincià chillu nuovo. È quase sempe, ‘o spustamento era ed è ‘na trasferta d’ammore. Sempe luntane songhe state ‘e guaglione. E pe ffà ammore m’aggia avuta sempe spustà. L’ammore mio se chiamma Gianna, e sta a 130 km ‘a do stongh’io. ‘A ‘o tiempo d’’o lockdown nun l’avessa potuta vedè. Io a Lamporecchio e essa  a Arezzo. Stessa reggione, pruvincie diverze, ma poco cagnava, era ‘o periodo addo siconno a lloro, nun avessa avuta proprio ascì. Ma furtunatamente io sto ‘n campagna e me ne fujevo ‘a matina ambressa dint’a l’uliveto. E veniteme a piglià. Peró Gianna me mancava, a vulevo vedè. Tenevo voglia e fa ammore e sentì o calore suojo. Allora appriparaje ‘a valigia. Sturiaje tutt’o percorso.

E valiggia addiventaje tutt’a machina. Damiggiane d’acqua, robba ‘a mangià, cuperte, giacchette ’mpermeabili, curtielli, accette, putaturi, carta p’appiccià ‘o fuoco. E pare esagerato, ma era ‘nu viaggio “nell’ignoto”.

M’ero sturiato ‘nu percorso ca sarria stato meglio d’ó chiammà terrorista. Ato ca caz. P’arrivà a Arezzo nce vuleva n’ora e mezza. Io se me ieva bona ce n’avesse miso seje o sette. Passanno pe tutte ‘e strade ‘a llà attuorno e de campagna. Sturiai tappa per tappa, km per km. Solo due snodi non potevo evitare. E me truai a Scandicci avvicino a l’autostrada, erano e doje o e tre i’e notet e di fronte a me sfilaje a machina d’a pulezzia, ma pe furtuna nun se fermaje. P’o riesto, vedette paesaggi meravigliosi, tenevo ‘na emozione di adrenalina unica. Quanno arrivavo int a nu paese stutavo ‘e fari e guidavo cu ‘a luce d’e lampiuni. E vote me fermavo, e ghievo in avanscoperta pe vedè si nce stevano ‘e guardie. Nu par ‘e vote avietta fa ‘o giro a luongo pe strunzià ‘o cuntrollo. Arrivaje ‘a matina ambressa Era aprile e p’a via avevo cugliuto fiori di pesco e già tenevo un bellu mazzo ìe Iris d’o ciardino mio. A turnà fuje chiù strunzo e rilassato, m’atteggiavo a se po ffà, e ‘e carabiniere m’inseguettero a Castiglion Fibocchi e me faccettero ‘a multa. 500 euro ma la puoi contestare. E allora che cazzo m’a faie a fa. ‘O prefetto ma levaje pecchè aveva turná ‘a casa a vedè ‘e figlie mieje. E mo, pe ghj a truà o accucchià ch’ella ca generalmente se chiama famiglia, avessema fa n’appuntamento a metà via. Una a Milano, nat’a Pisa, mamma ‘a Cava, ‘a piccerella a Pistoia, io a ‘na muntagna ‘e diatanza, e a fatica ‘n pianura ‘a chellata parte, ma sempe a 18 km ‘e distanza. E mo pure papà ‘ nparaviso. So sempe stato insoddisfatto, tenevo sempe ‘o pepe ‘nculo. Era fuì. Pensavo sempe vabbuó tanto chesta nun è casa mia. Tant’anni fa quanno ancora stevo a Cava, m’ero fissato per i Bonsai. E accumminciaje a coglie piante a tutte ‘e parte. E a pruà a riproduzione. Talea, margotta, seme. Quaccheduna me l’accattavo.

Mpizzavo ndu terreno e pó, a piantina asceva. Ma a iastemma mia era ed è ‘a talea. Aggio ‘mpizzato spruoccole ‘e tutte ‘e specie, n’da ogni tipo ‘e turreno. Macchè. Niente. Manco ‘na rarechella peccerella. E comme faje a nun penzà, ca si tu si ‘o primmo sradecato, ca nun truove pace, nun nce o passa ‘o spruccolo o pensiero e se attaccà. Invece, comme p’e piante, ‘o seme mio parteva e generava. ‘O fatto è ca ‘a Mamma d’e figlie meje s’abbuffava ‘a panza sulo si a uardavo. Mettimmo incinta. E pó, oi lloco. Anzi a i lloco. Anzi anzi. Ebbì loco. E mo ca scrivo tengo’ a valigia ‘ncopp’ o cummó. Rimane parto. Bla bla Car me sapè buono e tengo tutte belle recensioni. Pare ca’ nzin’a mmo. Chi s’è truato a viaggià cummico, s’è truato  bbuono. Menù male. Vaco và. Aggia ‘nghiudere a valiggia.




Alberto Barone: Valigia pacco

Vvoi architetti trascurate sempre la funzionalità: hai dimenticato lo spazio per le valigie!
Ssai, è bello avere la casa in ordine, ogni cosa al suo posto …
Del resto lo sai – noi viaggiamo spesso e  vogliamo tutto a portata di mano, non ci deve mancare niente!

Non era tanto ciò che diceva, anche vero e un po’ scontato, ma il tono …. mi irritava. Senza che se ne accorgessero mi allontanavo.
Alzato dalla sedia, segnali di congedo? No, anzi la discussione si è protratta: i bagni, le camere, gli spazi di ciascuno.

– Ssai in una casa bisogna mantenere la propria indipendenza(come odio quel ‘Ssaì’ con la ‘s’ rafforzata) –  Ma che famiglia è?
Ci ho provato: la casa non è una somma di camere, per questo ci ssono gli alberghi, la casa è il luogo per un piccolo nucleo, ma faglielo capire!

Io ssono una donna che lavora, non ho tempo per queste cosee tutto si accompagna al silenzio di lui, i figli citati nelle loro innumerevoli attività, non coinvolti. Sono preoccupato.
Dov’è l’anima di questa casa, quel profumo di antico che ci sottrae al tempo, quella voglia di respirare un’aria comune.


Sono preoccupato: la casa sarà ben fatta, curata, sarà ben distribuita (anche troppo), luci ad effetto, arredi calibrati, librerie capienti, super schermi, più di uno: il rito della tv non si usa più, ciascuno guarda ciò che vuole, si ma dove? Nella propria camera: non sopporto la tv in camera da letto, come il bagno in camera … funzionalità alberghiera: la casa è un’altra cosa!
Meglio se quella voce stridula avesse detto ‘noi ci muoviamo spesso’. E si, si può viaggiare senza muoversi ma non il contrario, con movimenti scomposti del corpo e del cervello, di tutti i cinque sensi riattivati e pronti ad esplodere.
Ma la voce avrebbe avuto altri toni.

In metro o in bus non è la stessa cosa … Sali in un luogo e scendi in un altro, ti manca lo spazio di mezzo, quello che mette insieme tutte le cose e che una valigia per quanto ben organizzata non potrà mai contenerle, anzi se nella valigia metti meno, al ritorno più cose troverai.
In quel vuoto c’è quella curiosità che si lascia sorprendere, che vuole assaporare la meraviglia, lo stupore, i battiti di cuore, i capogiri e le vertigini, il tremore, le vibrazioni, il pianto di una emozione.
Ora mi spiego quel fastidio, quella voce stridula, sicura di sé della propria povera razionalità, ma se questa è la tua valigia allora è solo un pacco, da spedire!




Elvira Coppola Amabile: La mia valigia è sempre pronta

Leggera e piena!!
Dentro ci sono le mie musiche le mie poesie i miei ricordi le mie passioni.
Posso aggiungere le parole che mi accarezzano il cuore! Parole d’amore!
Posso aggiungere i profumi dei limoni della mia terra.
Posso aggiungere i canti degli uccelli e il rumore del mare.
Posso aggiungere il calore degli amici figli nipoti
Posso racchiudere in uno scrigno trasparente i silenzi e i dolori.
Preziosi  unici come tutto il resto ma da schiudere solo in uno spazio segreto.
Posso aggiungere maschera e pinne. Un pomodoro e una foglia di basilico.
Posso accendere la voce di Dalla  “si muove la città..”
Chopin notturno opera 9 n.2
Il cielo in una stanza di Mina.
“Amami Alfredo…”
Keith Jarret al piano…
Bach toccata e fuga
Oppure un jeans una maglietta un maglioncino.
Una valigia é per viaggiare o per fuggire?
Una valigia é per tornare e restare?    
Una valigia é un luogo dell’anima o del cuore? Non so!
Napule é !!! La colonna sonora della mia vita!
La mia valigia canta canta! Anche chiusa sempre! 
É piena di cavallini d’argento. É piena d’amore!




Su Ulisseonline un’ intervista su come vedo il futuro di Cava

https://www.ulisseonline.it/primopiano/