Elvira Coppola Amabile: l’Italia siamo noi?

Una giornata particolare! Aldo Cazzullo.
Da buon piemontese ha raccontato l’impresa dei mille con la solita retorica sul risorgimento. Verità bugie come al solito. Le vergone crudeli nascoste… come al solito… le glorie esaltate come al solito… curiosità svelate …pettegolezzi. Come le donne arruolate, Anita Garibaldi e la moglie di  Francesco Crispi, Rosalia Montmasson.
Ma cosa importa…
L’Italia siamo noi.
Oggi lontano dai libri di scuola che ci istruivano magnificando l’unione, sappiamo che la storia la raccontano i vincitori.
Un po delle verità sconosciute fino ad ora l’ho scoperte in un libro di un giornalista Gigi Di Fiore. “Controstoria dell’unitá d’Italia.” Poi ho continuato a documentarmi.
Franceschiello il re imbelle cugino dei Savoia. Non capí che doveva reagire! Non capì che forse firmando la costituzione avrebbe salvato il suo regno, se stesso, e forse l’Italia. Non capì. Aveva ventiquattro anni era orfano e re da solo due anni. Timido, bigotto con una madre in odore di santitá. Complessato suppongo.
La regina Sofia? Lei era fiera e ribelle e voleva che il re si ribellasse all’aggressione.
Il Re lo capí tardi. Troppo tardi. Fuggirono a Gaeta. E poi a Roma e poi al nord…Francesco II finí i suoi giorni ad Arco di Trento modestamente. Andava al bar a leggere i giornali e molti non sapevano chi fosse. Fabiani mi pare si facesse chiamare.

Non aveva depredato la corona, e disse che il tesoro non gli apparteneva. Ci pensarono gli invasori a depredare. Come tutto il resto. Un buon uomo molto religioso e imbelle, non adatto a fare il re. Soprattutto non la guerra. Era benvoluto dal popolo in ogni caso.

La regina Sofia sorella di Elisabetta (Sissi) era indignata per le titubanze del marito. Era molto amata dalla gente e fu apprezzata anche altrove. D’Annunzio la chiamava Aquiletta bavarese. Era sempre presente ad aiutare, era caritatevole e generosa. Curava i malati personalmente. A Gaeta ultimo rifugio, ancora la venerano. Quando morì re Francesco, Matilde Serao sul Mattino scrisse di lui definendolo “galantuomo e gentiluomo”.
La storia la scrivono i vincitori.
Ci raccontarono che Mazzini, Crispi, Garibaldi erano fautori di gesta eroiche. Non dissero che  ebbero pure una fortuna sfacciata! E ci fu anche un tradimento dei loro stessi ideali. Garibaldi, Mazzini, Crispi e Bixio avrebbero vagheggiato una repubblica e non un altro regno… quello dei Savoia.
E comunque la storia é andata. E forse non poteva che andare così.
Ma mi chiedo spesso se i Borboni tanto disprezzati avrebbero costretto alla fame il popolo, umiliandolo rendendolo  vittima della disoccupazione e quindi costretto ad emigrare in massa. Mi chiedo se avremmo avuto la dittatura fascista, il sogno folle delle colonie. E le guerre. Una e poi ancora un’altra.
E forse non poteva che andare così.
E io amo la nostra Italia.

Ma un monumento ai caduti mi fa pensare. Erano operai dell’acciaieria più grande e progredita d’Europa. Le Ferriere Ferdinandee di Mongiana in Calabria.  Furono  trucidati dai piemontesi perchè li supplicavano di non distruggere la fabbrica. Era la loro vita il lavoro era la loro sopravvivenza. Ed era apprezzatissima.
Il nostro passato Borbonico era ed è degno di conoscenza e rispetto. Il regno delle due Sicilie aveva costruito a Napoli  grande come una reggia “l’albergo dei poveri”.  Aveva dedicato San Leucio alle seterie: un paese intero per un artigianato raffinato e prestigioso con tutte le infrastrutture più avanzate per l’epoca. Ancora oggi prezioso e unico. Non voglio elencare le regge l’università il San Carlo i musei gli scavi. E non voglio parlare dei posti destinati al popolo dei ricchi nobili.
Ma voglio citare le leggi per proteggere le corallare di Torre del Greco altrimenti costrette a prostituirsi per sopravvivere alla povertà quando i mariti pescatori non rientravano.
Tutte le strade di Napoli erano progetti Borbonici. Via Cavour Via dei Mille….
Velocemente ho rammentato qualcosa per suscitare interesse come è successo a me.  Allora cerchiamo almeno di conoscere qualcosa in più. 
Senza giudicare. Tanto non serve.
Solo per sapere.
Forse non era cosí atroce la vita sotto la monarchia Borbonica confrontata alle altre europee e a quello che sopravvenne in seguito soprattutto al sud. I latifondisti opprimevano i contadini. Stettero meglio dopo?
Basta.
Ora teniamoci la nostra amata tormentata Italia.
Rispettiamola e proteggiamola consapevoli dei sacrifici costati a tanti. 




Fabio Senatore: la vita è un viaggio

Ci sono sicuramente molti modi di viaggiare: prendere un treno, un aereo, partire in macchina, e io, inoltre, amo molto entrare in un buon cinema ed aspettare che le luci si spengano.
Un film che mi ha fatto volare la mente è “Into the Wild – Nelle terre selvagge” del grande Sean Penn, magnifico attore e – in questo lavoro – grande regista.

La storia vera del neo-laureato Christopher McCandless che nel 1992, a 22 anni, stanco del consumismo e del benessere fittizio, decide di abbandonare la famiglia e le promettenti prospettive di studio e professione, dà in beneficenza tutti i suoi averi e affronta un viaggio senza nessun sostegno né economico né umano, che lo porterà nei luoghi più selvaggi degli Stati Uniti fino a immergersi nell’immensa natura dell’Alaska, che segnerà per sempre la sua esistenza. (Quattro mesi dopo verrà trovato morto accanto al suo diario, grazie al quale verrà ricostruita la sua storia).

Il capolavoro di Sean Penn riesce ad emozionare il cuore e ad aprire la mente dello spettatore. Non esiste la minima banalità in un racconto di due ore e mezzo, che ti trasporta in un viaggio stupendo per gli Stati Uniti d’America fino ad arrivare alla terra selvaggia dell’Alaska.
Un personaggio con una purezza d’altri tempi, che ti lascia in corpo una grande voglia di libertà. Tutto molto bello, ad iniziare da una regia e da una fotografia che mi hanno lasciato a bocca aperta, uniti ad una colonna sonora veramente stupenda.
La ricerca del protagonista è estrema, senza mediazioni, propria di un giovane idealista di 22 anni: vuole vivere il rapporto con la bellezza e con la natura in modo diretto, completamente solo, con il suo personale sguardo e tramite la sua ricerca di assoluto. Per questa ragione si ribella alla “american way of life”, distrugge le proprie carte di credito, cancella le tracce del suo passato, si mette in viaggio senza denaro, rinnega i rapporti convenzionale e ipocriti.

La maestà dell’Alaska, le foreste sconfinate, i corsi d’acqua che, durante il disgelo, diventano prorompenti e scendono rapidi verso valle trascinando la loro portata gigantesca, il relitto di un autobus che offre un riparo provvisorio, tutto ciò fa da cornice a un viaggio inteso come ricerca interiore ed estremo approdo.Coinvolgente e trascinante, questo film prende e porta con sé lo spettatore, il regista ha saputo modulare le immagini e i numerosi primi piani sul bravissimo protagonista coinvolgendo lo spettatore fino in fondo, arrivando così al termine della stupenda storia, che poi lascia un fondo di amarezza in chi assiste a questa evoluzione del protagonista.
Un viaggio senza ritorno che dà spazio a molte cose su cui riflettere. Immenso.

Ecco una scena del film

La storia di Christopher McCandless è anche un libro scritto da Jon Krakauer che si imbattè quasi per caso in questa vicenda, rimanendone quasi ossessionato, e scrisse un lungo articolo sulla rivista “Outside” che suscitò enorme interesse. In seguito, con l’aiuto della famiglia di Chris, si dedicò alla ricostruzione del lungo viaggio del ragazzo: due anni attraverso l’America all’inseguimento di un sogno. Questo libro, in cui Krakauer cerca di capire cosa può aver spinto Chris a ricercare uno stato di purezza assoluta a contatto con una natura incontaminata, è il risultato di tre anni di ricerche.

Se volete dare un’occhiata prima di acquistarlo potete leggerlo qui

https://nuvola.porticando.eu/s/eNcXxDQGRd3sfNa




Viaggi librari:”La musica è leggera” di Luigi Manconi

A molti amici più o meno miei coetanei ho già consigliato questo libro per me da gustare per intero;  ma anche chi non è interessato ad alcuni capitoli e però ha vissuto da ventenne o trentenne gli anni 60, gli anni 70 e perché no gli anni 80, potrà ritrovare nella pagine di Manconi le emozioni giovanili, riascoltare anche senza sentirle le canzoni di quelli anni e leggere del ruolo che anno avuto Paoli, Modugno, Iannacci, Gaber, Dalla, De Gregori, Venditti, Califano, Battisti, Celentano, De André, Battiato, Bennato, Guccini, Conte e tanti altri nella storia della musica pop e non solo.
Ma oltre ad acute e leggère considerazioni e piacevoli intuizioni sulla musica italiana nell’ultimo cinquantennio  e  ricordi di incontri con cantanti e musicisti , in “La musica è leggera” è facile trovare altro.

Non voglio farla lunga e perciò mi limito a riportare il  passo che conclude la pagina dedicata a Titanic di De Gregori che anche io, come l’autore del libro considero la sua  opera migliore, più emozionante e più persistente nei meandri della mia memoria.

Generalmente sono di pelle scura. Molti puzzano perché tengono lo stesso vestito per settimane. Si costruiscono baracche nelle periferie. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Parlano lingue incomprensibili, forse antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina, spesso davanti alle chiese donne e uomini anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti». E ancora: «Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra loro.

Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano sia perché poco attraenti e selvatici sia perché è voce diffusa di stupri consumati quando le donne tornano dal lavoro. I governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali Rapporto dell’Ispettorato americano per l’immigrazione del 1912 riferito agli Italiani.

Titanic



Gerardo: Via Crucis 2024




Mai ritornare sulle proprie scelte televisive!

Sono un assiduo lettore di libri gialli e ho acquistato nel tempo i libri di Cristina Cassar Scalia ambientati a Catania con protagonista la vicequestore Vanina Guarrasi. Ieri mattina sfogliando il giornale apprendo che Mediaset ne ha realizzato la trasposizione televisiva.
Per un’antica idiosincrasia per tutto quello che emanava da Berlusconi, molto, ma molto raramente, e solo con qualche piccola eccezione, negli anni ho pigiato sul mio telecomando i tasti dal 4 al 6.
Ma avendo letto con piacere i romanzi di questa autrice, soprattutto i primi due, mi sono infilato con qualche perplessità nell’app Infinity ed ho visto il primo filmato. Quel che temevo è successo.
Delusione totale!
La vivacità e i ghirigori della vita catanese completamente scomparsi e ridotti alla differenza fra arancino e arancina. Cancellate figure fondamentali come l’ex commisario Patanè, Bettina padrona di casa di Vanina, il vicecommissario Fragapane.
La riduzione a macchietta di alcuni personaggi.

E poi, non si sa bene perché, si comincia dal settimo romanzo della Scalia, sacrificando perciò l’approfondimento e l’evolversi dei rapporti umani lungo il susseguirsi dei racconti pubblicati e buttando all’aria il filo della storia familiare, amorosa e amicale della Guerrasi.
O forse la scelta di cominciare dal delitto del gelataio è legata al fatto che nel volume di riferimento non compaiano problematiche sociali né aspetti dei meccanismi di potere della provincia siciliana.
Ed infine i vezzi, le contraddizioni, le pulsioni, il rammarico, il peregrinare mentale della protagonista ridotti a piccole note di colore.
Personaggi e ambientazione piatti!

Quello che mi immalinconisce, e forse mi impedirà di leggere eventuali altri libri della Scalia è il pensiero di come una pur brava scrittrice possa permettere tale svilimento delle sue pagine ricche di brio e vitalità, per amore del successo televisivo e di tutto quello che questo comporta in termini di ritorno economico e notorietà. Purtroppo non è la prima!

SE NE SCONSIGLIA LA VISIONE SOPRATTUTTO A CHI HA LETTO I ROMANZI.

Mi consola il pensiero, però, della mia giusta diffidenza verso Mediaset.
Cassar Scalia sicuramente pensa che la televisione le farà vendere più libri, ma una cosa è certa: un lettore lo ha perso di sicuro!




Francesco Puccio presenta il suo nuovo libro




Alfonsina De Filippis: Profumo di magnolia…profumo d’infanzia

L’emozione mi toglie il fiato. Ho viaggiato per ore per arrivare sin qui ed ora mi sento stordita ed emozionata come un’adolescente al suo primo incontro d’amore. …. 
Il mio è davvero un appuntamento…. con i ricordi.
Sono davanti al cancello di un piccolo villino in cui ho trascorso le mie estati più serene. Ogni anno mia madre ci accompagnava qui e lasciava che fossero i suoi genitori a prendersi cura di me e di mio fratello. Era in questo posto dove regnava la serenità che potevamo godere della compagnia di nostra sorella che, per il resto dell’anno, viveva in città con i nonni. In pratica la nostra famiglia non era mai al completo, o mancava mia sorella o mancavano i nostri genitori. Io, inizialmente soffrivo per il distacco da mia madre e mio padre ma, col passare dei giorni, questa casa, le regole ferree di mia nonna, la compagnia dei miei fratelli e di mia cugina, il mare, la complicità di mio nonno, tutto diventava indispensabile e aveva il profumo dell’amore e dell’affetto.
Vivevo quei tre mesi di vacanza in perenne ammirazione di mia sorella (più grande di me di nove anni) ed ero affascinata da qualsiasi cosa dicesse o facesse; ero felice di passare più tempo con mio fratello (di cinque anni più grande) e, pur di stare con lui, avevo imparato a giocare a calcio, rugby, e tiravo con vero talento le biglie di vetro colorato. Mio nonno ci insegnava a colpire grossi barattoli di latta col suo fucile e, spesso correvamo allo stagno a caccia di rane e rospi. In quei giorni, e solo in quelli, io mi scoprivo veramente capace di provare vera gioia.
Io ero la più gracile e ogni inizio estate i miei nonni mi portavano da un anziano pediatra affinché mi prescrivesse le solite dolorosissime iniezioni di vitamina E.
Credo si chiamasse Bellelli ma ricordo con precisione la sua abitazione. Viveva in una piccola casa con un giardino pieno di bouganville di un rosso infuocato e davanti al cancello, a pochissimi metri, vi passavano le rotaie del treno tant’è che, spesso, eravamo costretti ad aspettare che il passaggio a livello si alzasse per varcare il cancello.
La visita era sempre scrupolosa e i miei nonni uscivano sempre dallo studio medico con aria affranta ma ben decisi a “rinforzarmi” nel corpo e nello spirito. In questo erano veri maestri, non credo che fossero le iniezioni a farmi davvero bene, più probabilmente era il concentrato di cure, di attenzioni e di amore di cui sapevano farmi dono.

Ora sono qui, ad un passo dal cancello di quella che una volta è stata anche casa mia….
Cerco con lo sguardo la piccola campana di bronzo che gli amici e gli ospiti agitavano per segnalare il loro arrivo….non c’è più. Non vedo neanche la targa di metallo su cui mio nonno aveva fatto incidere, con un carattere un po’ lezioso ma gradevole “Villino Nice”, il nome di mia nonna. Lascio che il mio sguardo penetri la barriera di edera che si è inerpicata lungo il recinto di ferro, la magnolia con le sue grandi foglie, è sempre lì, al centro del giardino e ormai ricopre quasi del tutto quella che una volta era l’enorme finestra del salone. Passavo ore, nei lunghi pomeriggi d’agosto, al fresco della sua ombra. A volte, mi sdraiavo sul prato così da avere per tetto i suoi lunghi rami ricchi di grandi foglie lucide, di un verde intenso e mi incantavo a guardarne i fiori bianchi e profumatissimi.
Le palme hanno raggiunto il tetto e grandi ciuffi di datteri dorati pendono da più parti dando un vago senso di esotico a questo mio amato giardino che nessuno sembra ormai più curare. Le aiuole non ci sono più e le piante più svariate convivono in promiscuità dandomi subito l’amara sensazione di abbandono ed incuria.
Ricordo e rivedo noi bambini sudati ed eccitati, chini sul prato a strappar erbacce. Sento, vicina e chiara, la voce di mia nonna che ci incita a far presto e bene.
Il viale d’ingresso, su cui ogni estate veniva montato un elegante gazebo di ferro lavorato, alcune sedie di eguale fattura rallegrate da grandi cuscini fiorati ed il tavolo col piano di cristallo ora è occupato da una vecchia automobile.
Alzo lentamente lo sguardo e ho un tuffo al cuore, il terrazzino davanti alla porta d’ingresso è rimasto quello d’un tempo e mi par quasi di rivedere i miei nonni, seduti sulle loro sedie di vimini, che sorridono così come erano soliti fare quando ci guardavano giocare.
Non resisto più, ho bisogno di entrare. Spingo il cancello pur essendo certa che sia chiuso. E’ bastata una leggera spinta ….è aperto. Il cigolio mi fa sobbalzare. Per un breve istante ho pensato di andar via, è stato solo un attimo di esitazione. Entro e richiudo il cancello dietro di me. Per incanto avverto la sensazione che la ringhiera sia diventata il limite del mondo, al di là di questo recinto un po’ malridotto c’è il vuoto.
Probabilmente al di là del cancello c’è il normale via vai di automobili, di donne che tornano dal mercato, di bambini che si rincorrono allegri ma io non sento più nulla, qui c’è solo silenzio e pace. Il mondo intero è racchiuso in questo giardino. Le persiane, tutte giù, rendono questa casa un po’ triste. E’ come se volesse tenere gli occhi chiusi per non vedere lo sfacelo di questo giardino. Una volta dalle finestre veniva fuori il vociare di noi bambini, il parlottare animato degli adulti e, all’imbrunire, questi grandi occhi dagl’infissi di legno bruciato dal sole e dalla salsedine, si illuminavano e splendevano attraversati dalla luce calda e allegra delle lampade. Questa casa che ha fatto da spettatrice a tante vicende e che ci ha visto prima bambini, poi adolescenti e infine adulti ora è cieca e sola. Mi avvio lentamente per il piccolo vialetto che costeggia il lato est della casa e mi ritrovo a sorridere al ricordo di quando, bambina, lo attraversavo di corsa per paura dei gechi e degli insetti che si rintanavano tra i mattoncini rossi. Istintivamente avverto lo stesso disagio ed affretto il passo fino a raggiungere il punto in cui il lungo viale diventa più ampio. Davanti a me si apre una scena di una bellezza indescrivibile. Il mio cuore ed i miei occhi si riempiono di una gioia completa, immensa, profonda. Il pergolato è un’esplosione di colori e di profumi, i grappoli di glicine si intrecciano a lunghi rami di rose selvatiche bianche e rosa tra cui fanno capolino piccoli mazzolini di gelsomino. Sono letteralmente assalita da un’ondata di profumo tanto penetrante e piacevole da sentirmene stordita e inebriata. Guardo a terra e mi accorgo che c’è uno stupendo tappeto di petali e di foglie dalle mille tonalità e sfumature di verde.
Una leggera brezza suona la sua musica fra i rami e smuove le foglie facendo piovere altre leggere gocce di seta.
Alzo lo sguardo e vedo un cielo fiorito. Il sole riesce, di tanto in tanto, ad aprirsi un varco tra il fogliame e proietta sul suolo macchie di luce che sembrano danzare al ritmo di una malinconica e sapiente melodia che mai animo umano potrebbe comporre. Mi sento estasiata e leggera, mi pare che anche la mia anima stia danzando e cantando il suo inno alla vita ed al creato.
Tra alti cespugli, dove prima fiorivano le “belle di notte” è ancora visibile il campo di bocce e l’enorme rullo di cemento che spingevamo con fatica affinché con il suo peso livellasse la terra rossa su cui lanciavamo, in modo non proprio regolare, le bocce di legno colorato. Mi pare di sentire la voce di Giovanna, la più piccola di noi quattro, che piagnucola perché vuole il pallino. Ho davanti agli occhi mio padre, in pantaloncini, che prende la mira fingendo concentrazione e impegno. 

Dall’altro lato del viale c’è un’ampia distesa di terra, ora incolta, che allora era il nostro orto. Con grande fatica di tutti gli adulti della famiglia e in parte anche di noi ragazzini, riuscivamo a coltivare di tutto e grossi cespugli di erbe aromatiche riempivano l’aria di profumi penetranti.
In fondo al viale s’intravede il garage che utilizzavamo come cucina. E’ una piccola casetta in miniatura con una finestra di minime dimensioni che fungeva da passavivande. Sotto il pergolato di vite canadese, che ora mi pare un angolo di paradiso, consumavamo le leccornie che mia nonna, eccellente cuoca, preparava per tutti noi.
C’è ancora la panca di marmo causa di liti furibonde e di vere e proprie battaglie. C’era sempre uno stesso vincitore: mio fratello Pierfederico. Unico maschio del gruppo dei piccoli, sapeva essere convincente. Utilizzava varie strategie: partiva col promettere regali e favori, passava poi ai ricatti ed alle minacce, cui io non cedevo mai…. Mia cugina Giovanna era fuori dalla competizione perché troppo piccola, mia sorella Antonella, la più grande, si rassegnava facilmente.Io ero l’unica che resisteva ad oltranza e mi lanciavo in veri e propri corpo a corpo e ne uscivamo, entrambi, pieni di lividi e di rancore.
Ora la panca è tutta mia. Mi ci siedo, gonfia di soddisfazione. Chiudo gli occhi e non mi sembra possibile che nessuno venga a recriminare o ad intimarmi di alzarmi.
“Dindi! Dindi! Alzati, vieni ad abbracciarmi”. Apro gli occhi, nel viale, tra i fiori, c’è il nonno. Farfuglio e balbetto: ”Non chiamarmi così, non vedi, ho più di quarant’anni! Ne è passato di tempo da quando usavi chiamarmi con questo nomignolo strano e tenero.” Si avvicina con passo lento e leggero, si toglie il cappello e sorride divertito. Indossa pantaloni di lino beige con le pences e una camicia candida.
Apre la porta del garage, io lo seguo in silenzio. Apre la saracinesca che dà sulla strada secondaria e l’ambiente è inondato di luce. Si avvicina al tavolo, apre il cassetto in cui ha sempre custodito i suoi attrezzi e ne tira fuori un martello ed un oliatore. “Devo sistemare il cancello. Hai sentito come cigola?”.
Le sue parole vengono fuori come se ondeggiassero, l’accento toscano le rende morbide e lievi. Vorrei abbracciarlo ma lo fisso incantata come facevo da bambina. Durante le splendide serate estive, accompagnati dai grilli e dallo svolazzare di mille lucciole, passavamo ore a guardare il cielo stellato, lui mi sussurrava il nome di tutte le stelle, Venere, il Gran Carro, l’Orsa maggiore…….Io lo ascoltavo estasiata e credevo fosse il padrone dell’infinito. Non mi stancavo mai di ascoltarlo e vivevo intere sere stando col naso in su. Mio nonno Gastone mi ha insegnato ad amare il cielo stellato e a sentirne il profumo. Ora mi pare che lui stesso sia stato per me grande e magnifico come un cielo trapunto di stelle.
Si avvia per il viale armato di tutto punto per iniziare la sua battaglia contro la ruggine. Mi fermo a guardarlo mentre si allontana lungo il viale, non lo seguo.Mi piace guardarlo mentre lo attraversa col suo passo lento e morbido.
Si volta a guardarmi, mi sorride e mi fa cenno con la mano come per salutarmi……
Sento che qualcuno mi scuote con forza: ”Signora, sta male?”. Apro gli occhi e vedo chino su di me un omone grande e grosso. Metto a fuoco con fatica il suo viso troppo vicino al mio. Mi alzo di scatto. Deve essere il guardiano o il proprietario. Lo guardo confusa e con un po’ di timore. Cerco di assumere un tono dignitoso e convincente.
Balbetto qualcosa di incomprensibile anche a me stessa. Mi guardo intorno, siamo soli ed entrambi in evidente imbarazzo. Lo guardo e cerco di inventarmi qualcosa da dire, vorrei giustificare la mia presenza. La voce mi viene fuori di getto:
“Mi perdoni l’intrusione ma, sa, in questo villino ho trascorso almeno una ventina di estati. Volevo tuffarmi nel passato. Tra questi fiori aleggiano i momenti più belli della mia vita, qui avevo lasciato ricordi, sogni e speranze di cui ora ho veramente bisogno. Io sto cercando me stessa e il coraggio di continuare a vivere. Non dica nulla, la prego. Questa, ora è casa sua ma per molto più tempo è stata mia, ha rallegrato i miei giochi di bambina, mi ha fatto sognare, è stata la mia isola-che-non-c’è. Mi perdoni ma dovevo recuperare un pezzo del mio cuore e della mia vita.
Mi prende un’incontenibile voglia di scappare via, corro, attraverso il viale, al mio passaggio mille petali volteggiano contenti.
Raggiungo il cancello, lo apro, non cigola più.
Corro alla macchina, non vedo quasi più nulla…i miei occhi sono pieni di lacrime, il cuore trabocca gioia e malinconia insieme. Ho un altro profumo che mi è entrato nell’anima. E’ un aroma che non avevo mai sentito prima: il profumo dell’infanzia.

Stringo al cuore il mio pezzetto di vita e mi volto a guardare, forse per l’ultima volta, la casa della gioia.
Sono tutti al cancello: nonna Nice più bella che mai; nonno Gastone col naso all’in su in attesa che spunti la prima stella della sera; mio padre già con la pompa in mano pronto ad annaffiare l’orto, mia madre in pantaloncini, mia sorella Antonella, adolescente, col suo sorriso tenero e caldo, mio fratello Pierfederico ragazzino sbarbatello, con gli occhi pieni di sogni e di speranze, mia cugina Giovanna, che stringe il suo orsetto di peluche, i miei zii Antonietta e Gaetano, allora giovani…….
Un desiderio irrefrenabile mi spinge ad avvicinarmi, li guardo e sussurro: “Vi voglio bene…”
E’ solo un attimo…..tutto svanisce.
La loro immagine ormai è sfuocata, si è persa tra le lacrime che si sono affollate nei miei occhi o, forse, la realtà li ha riportati tutti in quel mio passato ormai lontano.
Sto piangendo. Le lacrime non sono sempre stille di dolore, queste che mi scivolano sul viso sono il nettare dolce della mia anima felice. 




Elvira Coppola Amabile: proposta di viaggio




Fabrizio Obso Di Baldo

Mi è sempre piaciuto viaggiare, quando ero bambino mi piaceva quell’emozione che provavo nei giorni antecedenti la partenza. Si cominciava con lo scegliere i vestiti che sarebbero stati i più adatti al luogo di destinazione. Se si andava al mare allora era facile, ma la montagna creava un clima di estrema tensione, poteva servire tutto, dal costume da bagno al maglione invernale anche se si era in pieno agosto. Mio padre non voleva o sapeva rinunciare al vestito elegante e mia madre, donna ansiosa e sempre preoccupata per il mio stato di salute, valutava i vestiti che mi avrebbero salvato da non so da quale malattia, per non sbagliare la maglia di lana a maniche lunghe era indispensabile. Con il passare degli anni, soffrendo io terribilmente il caldo, ho capito che era proprio maglia di lana la causa di tutti i miei raffreddori, una volta tolta non li ho avuti più. I tempi della mia infanzia ed adolescenza erano tempi strani perché si ubbidiva ciecamente ai genitori e il guardaroba lo sceglievano gli adulti, quando lo racconto ai miei figli loro sembrano increduli. Poi arrivava l’eccitazione per l’imminente partenza per il lungo viaggio che ci aspettava, le macchine venivano riempite di oggetti e per l’occasione si montava il portabagagli perché le valige sarebbero state caricate lì sopra, il concetto di aerodinamicità era, in quella lontana epoca, del tutto sconosciuto.

Quando tutto era pronto, preferivamo partire di notte per via del caldo, si cenava in religioso silenzio, la tensione era a mille. Ricordo in particolare una partenza, la destinazione erano le “Dolomiti”, la distanza che separa Albano Laziale da Pozza di Fassa era di circa 750 km, con l’850 special il viaggio sarebbe durato ,ora più ora meno, dodici ore. Vivevo quel viaggio come se fossi uno di quegli astronauti che pochi mesi prima era sbarcato sulla luna, era il 1969, io avevo 7 anni e di lì a poco avrei visto le Dolomiti. La vacanza fu bella, i luoghi fantastici, ma le emozioni che provai prima di quella epica avventura non le dimenticherò mai. Se devo associare la parola viaggio ad un ricordo questo è quello che sceglierei. Ora vivo in Finlandia, sono a 3500 km da dove sono nato, con l’aeroplano sono a casa in 6 ore, ma la poesia si è persa.




Angela Maria Pellegrino: O Sussurro da Terra

Da pochi giorni sono ritornata da un viaggio in Patagonia, è stato stupendo.

Sono arrivata nel punto più a sud del continente americano, che è molto più a sud del capo Agulhas (il vertice meridionale del continente africano – non è il Capo di Buona Speranza l’apice meridionale!), tra i pinguini, i leoni di mare, i cormorani delle rocce, ed i ghiacciai.

Per ognunodi noi l’immagine di un ghiacciaio è una gelida distesa bianca che purtroppo oramai si riduce di anno in anno. Ma i ghiacciai della Patagonia sono diversi, credetemi amici, sono ‘vivi’, hanno il loro incredibile ciclo vitale.

Il famoso Perito Moreno, ampio 250 chilometri quadrati, è il più grande ed il più famoso nel versante argentino della Patagonia, un immenso corpo che si adagia sulle Ande e ne percorre e ne possiede gli immensi pendii. A prima vista, da lontano, appare morbido, quasi carnale, luminoso e possente, da togliere il fiato. Una sensazione di sopraffazione, di sbalordimento, di ammirazione: una vera opera d’arte, potente e imponente.

Ci si può avvicinare tramite delle passerelle ben costruite, si ammira da pochi metri la parete ‘finale’ della immane massa, e si deve stare in assoluto silenzio, perché il ghiacciaio ‘suona’. Si sentono scricchiolii, quasi gemiti, a volte sembrano dei lamenti come di una persona che ha un forte mal di schiena, provenire da vari punti della parete solida, poi un improvviso potente boato, e una grossa colonna crolla rovinosamente, alzando ondate di acqua e ghiaccio. Uno spettacolo che ha qualcosa di animalesco, di vivente.

Perché questo ghiacciaio cresce, incredibilmente si allunga giorno dopo giorno nell’acqua del lago Argentino nel quale si trova (un enorme lago che non ha immissari fluviali, che deve la sua esistenza solo ai ghiacciai che lo alimentano da millenni). Ogni due o tre anni avviene un fenomeno veramente unico al mondo: il ghiacciaio, millimetro dopo millimetro, arriva piano piano a toccare la sponda opposta del lago, poggiandovisi sopra e costituendo così una specie di diga nel lago stesso, che impedisce ad una grossa diramazione del bacino di comunicare con il resto del grandissimo specchio d’acqua. Ma l’acqua ‘liquida’ vince sempre e, nella parte bassa del massiccio lembo protruso in avanti del ghiacciaio, flutto dopo flutto scava una piccola galleria trasversale che viene subito sfruttata dagli organismi viventi nel lago e dalla stessa acqua del lago stesso, che così la approfondiscono e la ingrandiscono velocemente, svuotando la parte bassa della lingua ghiacciata del Perito Moreno, fino ad arrivare ad una immane frana del ghiacciaio stesso, che fragorosamente crolla in grossi blocchi nell’acqua stessa.

Emozioni profonde, bellissime. 

Non dobbiamo soltanto cercare e godere di musei, opere d’arte, cattedrali ecc, secondo me, dobbiamo studiare, conoscere bene, ammirare ed amare la nostra magnifica, incredibile madre Terra, nelle sue stupende sfaccettature.