Non ce ne accorgeremo facilmente , ma qualcosa oggi cambia nel cielo: Il tramonto, l’ora che volge il disio ai navicanti e ‘ntenerisce il core, inizia a spostarsi in avanti.
Brutta notizia per chi ama la notte, buone nuove per chi è amico del sole.
Per qualcuno la felicità arriva su un treno di notte
per altri è il sole a conciliarli con il mondo
Se Notte e Giorno si presentassero alle elezioni non saprei per chi votare…non so voi. Comunque, per essere imparziale, questo post l’ho scritto all’alba.
Ecco comunque una poesia per ognuno dei due partiti:
Amici: Maurizio Paolillo
Non frequento tutti i giorni il mio amico Maurizio, ci vediamo raramente ma ogni qualvolta metto in piedi una panzellata ( così Annamaria Morgera con termine affettuoso e azzeccato chiama le mie iniziative) è sempre disponibile. Perciò, certo di una sua risposta positiva, è uno dei primi a cui mi rivolgo quando si tratta di scrivere un racconto per i libri di Porticando, o di partecipare ad una disordinata chat canora o ad una tombola online durante il lock-down, o di essermi a fianco quando ne ho bisogno, o di iscriversi a questo blog; ovviamente con lo stile ed il ritmo del ramo Coppola della sua famiglia. Maurizio non sa ancora che fra poche settimane lo convocherò, ma nel frattempo voglio dedicargli questa poesia che mi fece conoscere tempo fa il mio amico Elio Venditti.
I versi sono di Henry Wadsworth Longfellow il traduttore americano della Divina Commedia.
Astro del Ciel
Natale è già nell’aria, nella rossa e zuccherata merce dei negozi alimentari, nelle vetrine calamitate dei negozi di vestiti o di regali di qualsiasi genere, nei panettoni che più costano più sono buoni, nel suono delle sempre più rare ciaramelle ma anche nella nostra mente e nel nostro animo perché, se i mercanti hanno urgenza di realizzare i guadagni sperati, anche quanti di noi hanno attraversato un periodo difficile dovuto a guerre, a cinismo e brutalità diffusi, a perdite incolmabili di affetti, a delusioni, a stanchezza, ad indifferenza, a confusione hanno premura di trascorrere qualche giorno più pacato indipendentemente dal volerlo passare nel proprio silenzio o in compagnia di altri.
Come si sa i giorni che adesso dedichiamo al Natale, prima del cristianesimo, e forse ancora ora in qualche parte del mondo, erano dedicati al periodo in cui Notte, stanca della sua corsa, comincia a cedere le sue ore a Giorno, anche se in maniera disordinata: prima arretrando di qualche minuto ogni sera a partire dal dì di Santa Lucia, ma continuando fino al 22 dicembre ad aumentare la sua durata complessiva, e poi arrendendosi definitivamente intorno alla epifania ritraendosi da quel momento sempre di più anche di mattina. Non so se mi sarebbe piaciuta più quel tipo di festa o l’atmosfera natalizia moderna; se pure appesantito dalla a volte insopportabile frenesia della spesa e del consumo, oggi Il Natale ci rende, nelle situazioni e nelle comunità dove non sono di casa tragedie e drammi corali o individuali, piu indulgenti verso noi stessi e perciò anche verso gli altri; almeno per i 7 giorni dal 25 al 1 Gennaio.
Lascio decidere a Pavel Kuzko che scrisse:
“Il tempo è nato insieme allo spazio e con lui, se mai, finirà. In questo spaziotempo, dalla immensità enermemente più grande di ogni nostra comprensione, la luce ed il calore di infinite, smisurate stelle hanno permesso che nascesse qui e là la vita. Per la frazione di qualche infinitesimo decennio qualcuno, certo non tutti, ha avuto in dono la possibilità di accendere la sua piccola stella filante. Poca cosa questo breve scintillio di fronte allo splendore degli astri che quasi mai si stancano di accompagnarci.
Perciò l’unico modo per dargli senso e rilevanza è quello di farla brillare insieme a quelle degli altri. Forse così faremo un po’ di chiarore dentro di noi nei momenti in cui non basterà ad orientarci la luce di fratello Sole e sorella Luna; e forse potremo dare una piccola speranza di luce a quanti non hanno il fiammifero per dar vita alla propria”
Poi, naturalmente, se invece di perderti nelle metafore di Pavel Kuzko vuoi conoscere una diversa interpetrazione di Babbo Natale potrai sempre trascorrere le serate natalizie leggendo le lucide ed incalzanti pagine di questo saggio di Claude Levi-Strauss
che puoi regalarti per Natale; (se vuoi dare prima un’occhiata, per pochi giorni ecco il link: https://www.porticando.it/Babbo-Natale-Giustiziato.pdf ) Ti farai un grande dono e forse ti aiuterà a scegliere qualche regalo di Natale per i tuoi cari le tue amiche e i tuoi amici.
Giovanna Ferrara è volata via.
Se ne è andata un’altra meravigliosa giovane persona che con i suoi racconti ed il suo sguardo sul mondo ci faceva innamorare della vita. Che infinita tristezza! Voglio ricordarla riportando qui le sue scintillanti parole sui suoi anni liceali:
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Eravamo “cuori in Atlantide”. Il nostro tempo era assoluto, erano gli anni in cui moltiplicavamo le visioni di parmenide, doppiavamo plutarco, sapevamo il flusso delle stelle e le scie della fisica, ci dividevamo tra la letteratura da programma e quella sperimentale, la politica ci riuniva in assemblea, eravamo arroganti e invincibili come lo sono tutti i corpi desideranti.
Sappiamo tutti, tra il 92 e il 96, di aver fatto parte di una anomalia collettiva, che prendeva il patrimonio di una conoscenza passionale e lo rendeva pratica di fecondazione del futuro. Noi di mestiere germogliavamo. In maniera prepotente, sfidando la docilità degli adulti, provocandoli sul terreno delle loro stesse competenze, ingaggiando con i professori più intelligenti infinite partite di senso, imponevamo il nostro ‘vogliamo tutto, a partire dall’impossibile’.
E non abbiamo mai trovato la miseria della prudenza. Ci è stato chiesto di sapere di più, di studiare di più senza che questa diventasse attività meritocratica. Il premio era il piacere, come nelle virtuose cittadelle del sole. Perché ad educarci non era solo un corpo docente allenato all’indisciplina del tumulto, era anche la natura. La cornucopia della costiera, gli scogli ed il mare. I limoni che si tuffavano sempre un minuto prima di noi. Le porte sempre aperte delle case, il vivere nella bellezza delle strade, l’essere la generazione figlia del 68, che sentiva le stesse canzoni dei genitori senza rinunciare al sacrosanto conflitto agito per dire ‘sono io, sono una moltitudine’.
Ed è per questo forse che ci hanno chiamato l’onda. Perché insieme travolgevamo e, al contempo, ci travolgevamo, ritrovandoci storditi per la vertiginosa pienezza della vita. Noi che la musica la facevamo nei garage, noi che scrivevamo i testi delle nostre canzoni, noi che eravamo i gruppi musicali, noi che riempivamo la piazza dopo la scuola per rimandare l’ora del pranzo. Noi che quando passavamo eravamo la gioia dell’eternità.
Nel mondo di fuori andiamo con il segreto di quegli anni. Li teniamo nella tasca, se siamo in difficoltà li tocchiamo con le dita del ricordo comune. E senza dirlo riconosciamo i nostri simili. Sono quelli che hanno negli occhi un sogno, quello di un mondo in cui ‘insieme’ è piu importante di ‘me’ e la conoscenza non serve a prevalere, ma ‘a prendere posizione’. Siamo quelli che avevano ragione.
Giovanna Ferrara
Elfi
A Mariano, il mio amico che è andato via rendendo il mio mondo più povero e più silenzioso, confidavo tutte le mie idee; non diceva mai no, ma dalla luce dei suoi occhi capivo se la cosa lo convincesse o meno. Con Elfi fu subito d’accordo; in effetti anche lui era un elfo e arricchì la proposta con i suoi fulminei guizzi. Elfi fu un gruppo di scrittura creativa a tema. Eravamo in quindici ad incontrarci ogni 30 giorni per leggere le pagine (rigorosamente A4) scritte da noi su un tema scelto il mese prima ed il gioco consisteva nel dover accoppiare i racconti con gli autori ed anche in questo Mariano era bravo. Credo che per tutti fu una piacevole e stimolante iniziativa.
Il primo tema, prendendo spunto da un racconto di Čechov, lo volle scegliere proprio lui e fu “Lo specchio” ed io scrissi quel che segue:
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A casa di mia nonna, in una delle tante stanze del primo piano, c’era un armadio a doppia anta, ognuna con un grande specchio. Lontano dalla vecchia cucina, dove le numerose donne della mia famiglia usavano trascorrere il tempo chiacchierando e cucinando, il mio passatempo preferito consisteva nel posizionarmi fra i due pannelli e osservare il gioco del mio viso, del mio corpo, dei miei occhi, che rimbalzavano incessantemente più o meno numerosi all’avvicinarsi e all’allontanarsi delle superfici riflettenti.
Entrare in questi mondi paralleli fatti di luce e di fantasia era un viaggio sempre meraviglioso. Mi intrigavano questi ubbidienti me stessi disposti a ripetere velocemente le mie smorfie e i miei movimenti per poi sparire e ritornare nel loro universo misterioso appena io decidevo in tal senso, chiudendo le ante. Avrò avuto forse undici anni ed era l’ultimo giorno d’estate. Valigie già pronte, tutti in procinto di lasciare Pertosa per ritornare un po’ malinconicamente a Cava. Di lì a pochi minuti sarebbero comparsi i due muli di mio zio sui quali i miei avrebbero caricato i bagagli e ci saremmo avviati a piedi lungo la discesa e la successiva faticosa e mesta salita verso la stazione situata in alto lungo i pendii degli Alburni. Come facevo sempre prima lasciare il paese volli correre a salutare i miei compagni di gioco. Entrato nella camera presi a manovrare gli specchi ma dopo aver guidato per qualche minuto con le mani appoggiate sulle maniglie, chiamato dalla voce perentoria di mia madre, mi apprestavo a bloccare i battenti con un ultimo movimento a fisarmonica, ma questa volta i miei numerosi gemelli non mi assecondarono e prima di essere risucchiati dalla chiusura dell’armadio, invece di ripetere i miei gesti, fecero malinconicamente ciao con le mani. Una, due, tre volte! L’apparizione sulla porta di mia sorella Rosa, inviata dai miei genitori a scoprire dove mi ero cacciato, mi costrinse ad allontanarmi. A natale, ritornato a Pertosa, dopo aver fatto di corsa tutto il percorso dalla ferrovia al paese, mi precipitai nel mio magico rifugio, ma grande fu la mia delusione nello scoprire che uno degli specchi si era rotto ed era stato sostituito da un pannello di legno. La giostra dei mondi era scomparsa per sempre, portandosi via la mia fanciullezza. Ancora oggi mi chiedo come le mie immagini riflesse avessero potuto in quel momento sapere che si trattava di un addio definitivo.
Fuggire
Di questi tempi la fuga è l’unico mezzo per continuare a sognare. (Jim Morrison)
Erano forse diecimila le notti che aveva passato sulla barca, aggredito dal buio umido del mare a malapena contrastato dalla lampada posta a prua del suo peschereccio.
Troppe! All’alba, Stavros, tornato a reti vuote nel porticciolo del suo villaggio Άγιος Νικόλαος nella provincia di βολος, raccolse poche cose in una bisaccia, comprò del pane e caricatosi un remo sulle spalle cominciò a camminare verso l’interno. Percorse sentieri e strade di pianura e di montagna fermandosi solo per rifocillarsi, per riposarsi o per dormire sotto le stelle; nei primi giorni del suo viaggio nessuno badò al remo che portava in spalla; poi, mentre procedeva sempre di più verso l’interno, la gente iniziò a domandargli a che cosa gli servisse quel remo così lontano dal mare…ma Stavros si limitiva a rispondere con un sorriso e senza fermarsi continuava d andare avanti.
Un giorno capito in un piccolo villaggio di montagna vicino al confine con la Macedonia e quando da un uomo ed una giovane donna si senti dire: ”A che cosa serve quezzo pezzo di legno con questa strana forma?” piantò il remo in terrà e rispose: ”E’ il primo pezzo della mia nuova casa!”.
Sempre più spesso penso di trascorrere quel che resta della mia vità in un luogo dove se dicessi che vengo dall’Italia le persone mi chiederebbe: “Ma dove si trova questo paese che tu chiami Italia? Esiste veramente?”
Sogni
Giancarlo Durante: che ruolo per noi?
Cari Carlo e Enzo, per me è sempre un piacere leggervi, anche perché le occasioni di vedersi sono diventate rare e, forse, i social qualche opportunità aggiuntiva ce l’hanno pure data:quella di mantenere i contatti tra di noi, anche se in forma virtuale. Certo mi lusinga che ci sia qualcuno che ti cerchi per sentire come la pensi (?) e che faccia da muro contro un’abulìa mentale in agguato. Detto questo, però no!Per quanto mi riguarda non ho più la forza (qualcuno, sosterrebbe la vis polemica) di una volta, né, semplicemente, conservo stimoli per abbozzare una qualche proposta politica o sociale che si possa rivelare degna di questo nome. Io poi, (non so voi), sono fuori dalla vita lavorativa attiva, non ho alcun incarico di responsabilità, non posseggo alcun ruolo in pubbliche o private amministrazioni, non sono massone, non sono iscritto al Rotary né ai Lyons. Amministrare, lo sapete, è terribilmente complesso e, anche, alla fine, talvolta scarsamente remunerativo in rapporto al carico di responsabilità che comporta. Certo ci sono buoni e cattivi amministratori o amministratori semplicemente mediocri.
Ma è gente che ha saputo comunque raccogliere il consenso della maggioranza dei cittadini. Ricordo quando, tanto tempo fa(era il 1999!) ebbi l’ardire di presentarmi alle tornata elettorale per le Provinciali. Non ce la feci, anche perché metà del partito non mi sostenne. Ma ottenni, non è solo un giudizio personale, un lusinghiero risultato. Mi dissero che avevo fatto confusione tra proposte tecniche e proposte politiche. Conservo da qualche parte ancora dei folders dove mi illudevo(figuriamoci!) di rafforzare alla Provincia le funzioni perse di sanità pubblica, a partire dall’abolizione della figura del Medico Provinciale. Mi avventurai anche in diverse idee di orientamento ambientalista:proponevo, tra l’altro, una sorta di road pricing per alleggerire il traffico veicolare alla Badia. Più di venti anni dopo, visto quello che sta accadendo nel mondo, una piccola, personale rivincita, forse, l’ho ottenuta. Ma chi vuoi che si ricordi!
Ma, poi, con tutta sincerità credo che bisogna dare spazio a una classe politica più giovane (abbiamo amministratori vecchi e continuiamo a essere un Paese dove tuttora vige una strisciante gerontocrazia) . C’è bisogno, a mio avviso, di una generazione che maneggi bene i social, che sappia interagire con sistemi d’intelligenza artificiale sofisticati e riesca ad inserirsi negli spazi che questi ci vorranno lasciare. Non so voi, ma io ho qualche difficoltà, anche solo a livello locale, a pensare a uno schema di proposte sociali realizzabili in questo nuova schema di pensiero e in una realtà così riglobalizzata. Con questo non voglio dire che dobbiamo, alla nostra età, stare alla finestra e attendere lafine. No. Un ruolo di “consigliere”, di esperto, uno se lo può sempre ritagliare. Ma che ci si limiti a questo.
Permettetemi, infine, di cogliere l’occasione che mi avete dato per farvi una confidenza. Il sentimento che provo, giunto a questa fase della mia vita, come persona non credente: un senso di vuoto, che sta diventando una sorta di ossessione, che corre sotto pelle come una fastidiosa fascicolazione muscolare. Ma anche una disposizione d’animo che somiglia sempre più a un senso di straniamento, di distanza, che arriva financo all’invidia, che mi ritrovo a provare nei confronti di tutti quelli che siano credenti, fedeli cristiani, quelli che si consolano nella certezza di un aldilà e si vedono al cospetto di un Dio giudicante, quelli che ardentemente sperano di rivedere i propri cari, i propri amici in un mondo parallelo composto di anime, di spirito. Senza arrivare alle forme di anti-clericalismo alla Odifreddi, ritengo questa una forma di trascendenza abbastanza infantile, se non rozza, certamente inquinata da una visione terrenocentrica.
Siccome il tempo si va irrimediabilmente accorciando è su questo mio “mood”, quest’assenza di consolazione che, cari amici, adesso tenterei di “ragionare“ con voi.
Angela Pellegrino: nostalgia
Una città ‘sorridente’, questo mi manca della Cava di quando ero giovane. Cava era lieta, era allegra, ci si stava proprio bene.
I portici erano una sequenza di negozi di cavesi che tutti conoscevamo, e con cui le nostre famiglie spesso erano imparentate, o comunque erano amiche storiche, o almeno buone conoscenti.
Camminare per il corso era ‘stare in famiglia’, ci accordavamo per vederci davanti alla pasticceria Vietri o davanti a D’Andria, o davanti a Liberti ecc, e si comprava il buonissimo bacio dalla burbera ma indimenticabile signora Liberti, se avevamo i soldi.
Adesso non conosciamo più i commercianti, li sentiamo estranei, anonimi.
Del resto, nella maggior parte degli esercizi commerciali troviamo solo commesse (malpagate e sfruttate), non ci sono più i titolari, anzi molto spesso le ditte sono sconosciute, forestiere . . . mah, un po’ freddo tutto ciò, forse non per i giovani, ma per noi che ricordiamo certe cordialità, certa confidenza, sì.
E poi, andavamo a piazza Roma (così si chiamava) a comprare alla bancarella i lupini che mangiavamo nella villa raccogliendone accuratamente le bucce, e lanciandone qualcuno (pochi! avevamo fame) ai bellissimi cigni che ricordo con nostalgia.
Oggi i giovani passano le serate stazionando per strada, in quella che si chiama piazza Abbro, o sui gradini della chiesa di San Francesco, o lungo le vie del centro. A volte ho l’impressione che questi gruppi di ragazzi stiano in silenzio, si limitino a restare lì ciondolando, aspettando che il tempo passi e basta, che differenza con noi che chiacchieravamo, ridevamo, scherzavamo di continuo!
Siamo troppo vecchi? E’ questa la normalità? Mah
Enzo De Leo: Una città disattenta
Esiste a Cava – ma un po’ dappertutto – una sofferenza sommersa, profonda, diffusa. Una sofferenza che non fa notizia – se non occasionalmente e in maniera spesso clamorosa e shoccante – che è vissuta in silenzio e che trova un ascolto limitato, insufficiente. Un ascolto e qualche debole risposta da poche e spesso malmesse istituzioni pubbliche e qualche gruppo di volontariato.
E’ la sofferenza di quelle famiglie che hanno al loro interno un proprio membro portatore di problemi gravi che si collocano tra la sfera sanitaria e quella sociale e psicologica.
Si tratta di ragazzi tossicodipendenti gravi, anziani con demenza di Alzheimer, persone con severa disabilità, giovani autistici, sofferenti psichici gravi talvolta anche fortemente aggressivi, giovan@ con patologie anoressiche o bulimiche donne che subiscono violenze soprattutto da parte del coniuge.. e si potrebbe continuare.
E’ difficile immaginare, per chi non vive queste condizioni, l’impatto devastante che esse hanno sui nuclei familiare e l’infelicità che inevitabilmente comportano.
Sono convinto, anche se questa sensazione non è, per il momento, sostenuta purtroppo da dati più precisi che non le sensazioni che uno psichiatra prova nel suo studio con frustrazione e senso di impotenza e alcuni indicatori che emergono dalla situazione nazionale – sono convinto, dicevo, che qui a Cava tali situazioni siano causa della sofferenza più profonda e diffusa e a cui siamo meno attenti ( fatte salve lodevoli eccezioni ).
Si può fare qualcosa in più di quello che attualmente, spesso con sacrifici personali, si riesce a fare? Io credo che il Comune possa, per esempio, mettendo in campo risorse anche molto limitate assumersi il compito di coordinare, organizzare e mettere in rete tutto quello che in maniera sparsa e disorganizzata esiste e produce risposte, pure utili, ma largamente inadeguate ai bisogni che spesso non vengono espressi anche perché non si conosce l’interlocutore competente.