Geoteo

“Sei è un numero perfetto di per sé, e non perché Dio ha creato il mondo in sei giorni; piuttosto è vero il contrario. Dio ha creato il mondo in sei giorni perché questo numero è perfetto, e rimarrebbe perfetto anche se l’opera dei sei giorni non fosse”  (Sant’Agostino”)

Nella mente di tante persone, compresi moltissimi miei amici, la matematica è la più feroce nemica della poesia, della letteratura, della filosofia, della teologia; i  numeri e le figure geometriche sono l’acqua che spegne il fuoco dell’ immaginazione e delle emozioni.
Cosa c’è di più arido in una concatenazione logica che da scarne ipotesi approda a risultati numeri primi, rette parallele etc.etc.?” mi disse una volta un mio quasi-amico poeta i cui versi sciolti erano per la verità abbastanza brulli.
Purtroppo nelle scuole secondarie italiane e nell’università vige ancora la sprezzante dittatura di Croce per cui Cartesio è solo il cogito ergo sum ma non l’inventore della geometria analitica e Leibniz è il filosofo delle monadi, senza lenessun legame di queste entità al concetto di  differenziale, la base della matematica moderna.
Come si fa a studiare questi due personaggi solo come filosofi, senza entrare nei dettagli della loro produzione matematica? Farlo, vuol dire imbrogliare i malcapitati studenti, vuol dire privarli di una cultura filosofica e scientifica che deve andare di pari passo, e che non può essere offerta monca.

Per il momento non voglio tirarla per le lunghe e mi piace sottolineare solo che sant’Agostino sapeva che 6 è il primo numero perfetto (perché somma dei sui  fattori cioè: 6=1x2x3 e 1+2+3 fa proprio 6) e poi citare qui passi della Divina Commedia in cui Dante si serve della geometria per farci partecipare alla sua visione di Dio.
Ho trovato tutto ciò nel libro Dante e la geometria di Bruno D’amore.
Non a caso, anche se non mancano riferimenti matematici nelle prime due cantiche, non a caso proprio nel Paradiso il rapporto  fra il divino e la geometria euclidea si fa strettissimo.

“Un punto vidi che raggiava lume
acuto sì, che ‘l viso ch’elli affoca
chiuder conviensi per lo forte acume;
e quale stella par quinci più poca,
parrebbe luna, locata con esso
come stella con stella si collòca.” (Par. XXVIII, 16-21)

“O cara piota mia, che sì t’insusi,
Che come veggion le terrene menti
Non capere in triangol due ottusi,
Così vedi le cose contingenti
Anzi che sieno in sé, mirando il punto
A cui tutti li tempi son presenti” (Par. XVII,

13-18)

« …Colui che volse il sesto
a lo stremo del mondo, e dentro ad esso
distinse tanto occulto e manifesto… » (Par. XIX, 40-42)

Qual è ‘l geomètra che tutto s’affigge
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’elli indige,
tal era io a q uella vista nova;
veder volea come si convenne
l’imago al cerchio e come vi si indova” (Par. XXXIII, 133-138)

Chi è interessato troverà facilmente l’ermeneutica di questi versi in rete.

P.S. Piccola nota personale:
Una volta Alfonso mi chiese: “Come mai ti piace scrivere racconti ed altro, visto che sei un matematico?” e la mia risposta fu “Perché ho studiato Matematica