Caro Carlo, mi hai lanciato la domanda: l’avvocato è solo?
Ti ho anticipato qualche riflessione e ne aggiungo altre.
Nella vita professionale dell’avvocato, la solitudine non è abituale: costantemente circondati da interlocutori, con contatti e rapporti continui; specialmente in un contesto sociale come il nostro, sempre bellicoso e pretensivo. (Fortunatamente le spese iniziali per il giudizio e le condanne per la parte soccombente scoraggiano e consentono agli avvocati di dissuadere i disinvolti difensori di se stessi).
La solitudine può riguardare solo momenti particolari: le strategie, le scelte, le decisioni.
E questa è l’abitudine nella nostra specializzazione: si parla negli studi, fra avvocati, collaboratori; si consultano, all’esterno, colleghi stimati o che hanno trattato vicende simili.
Ma non è sempre stato così: ormai il dialogo, la comunicazione, il confronto, più raro alla fine degli anni 70, è divenuto abituale.
A quell’epoca gli avvocati amministrativisti erano pochissimi; poi un collega molto preparato ebbe l’idea di compattarci, di fissare appuntamenti costanti: una pizza per parlare di lavoro, di esperienze, novità legislative; partecipavano anche giovani collaboratori. Fu l’inizio di un dialogo, di un confronto costante e di sinergie professionali.
Il vero momento di solitudine rimane quello della discussione orale, di una conferenza, di un intervento in un congresso importante.
Lí rimani solo, perché tutto è legato alla tua prestazione, che vivi come può viverla un atleta di disciplina individuale: nell’arco della tua discussione, del tuo intervento, devi essere chiaro, sintetico, lucido, convincente e interattivo dal punto di vista logico e lessicale. Insomma è come gareggiare nei 100 m, tuffarti dal trampolino, fare una partita di tennis. Da solo, consapevole che devi sapere utilizzare le risorse che hai: argomentazioni giuridiche, ma anche logica espositiva, tecnica oratoria, suscitare e mantenere l’attenzione di chi ascolta e farti seguire. Insomma avvalerti degli elementi che possono essere spesi in favore del cliente, di quel che sostieni, della credibilità delle tue tesi.

E tornando alla condizione della solitudine, sia come stato d’animo, sia come condizione di fatto, vorrei aggiungere che può diventare un rifugio antitensione, una condizione desiderata: la possibilità di “leggere il breviario”, di seguire i pensieri, di guardare le cose da un’altra prospettiva, ascoltare il silenzio, parlare a se stessi.
La solitudine, oggi, viene indicata come un problema della socialità o di disconnessione: barriera di isolamento, incomunicabilità, affetti ignorati e abbandonati, mancanza di tempo e di disponibilità anche familiare. É vero; e tutti conosciamo situazioni estreme.
Gli anni che passano mi hanno insegnato che se vuoi rendere più semplici i rapporti tra persone, devi parlare, esprimerti, rivelarti. Sostanzialmente contravvenire a quelle che mi è stato insegnato in famiglia, secondo cui non bisogna chiedere, ma bisogna essere chiamati.
L’esperienza suggerisce che non è così. Anche un passo del Vangelo (Matteo 7:7-11 NR94) dice: «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve; chi cerca trova, e sarà aperto a chi bussa.”
Proviamo a contrastare la solitudine patologica con un pizzico di umanità, di lealtà, di confessione, di umiltà e verità. E diciamo chiaramente: sono solo, vuoi farmi compagnia? Vuoi darmi una mano? L’interlocutore capirà e le mani si uniranno.

L’Avvocato a molla
(poesia di Gianni Rodari)
Conosco un avvocato.
Un avvocato a molla.
Nessuno può notarlo
quando va tra la folla:
In tram, seduto o a piedi
la molla non la vedi.
Eccolo in tribunale:
somiglia tale e quale a cento altri avvocati
col codice penale
dentro la borsa nera.
La Corte è assai severa,
guai se si sapesse,
se la molla apparisse,
se scattasse.
Ma finito il processo
e assolto l’imputato
(oppure condannato)
rincasa l’avvocato
e non è più lo stesso.
La sua bimba lo sa
dove la molla sta: hop la’,
l’avvocato fa un salto,
poi ne fa un altro,
un terzo ne fa.
E la gente che passa
ridere sente
così allegramente
pensa: quella è
la casa della felicita

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