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In quel noi c’era la vita che Sofia non aveva potuto vivere con Damian, che non aveva fatto in tempo, come se avesse ripreso a riempire una valigia così piena di sogni e di aspettative da doversi sedere sopra per poterla chiudere.
In quel noi lei ci vedeva due individui, non più tanto giovani, che stavano mettendo un mattone dopo l’altro sulla vita avvenire, che ora erano in due, ma che presto sarebbero potuti diventare tre o quattro, e loro sarebbero stati lì a dargli la mano per portarli a scuola o a una lezione di danza e d’inglese.
E poi quei figli sarebbero cresciuti e avrebbero fatto da soli, avrebbero portato a casa i primi fidanzati e le prime fidanzate, e non si sarebbe fatto in tempo ad abituarsi alle loro presenze che non li si sarebbe più visti, e avrebbero acceso le prime sigarette, di nascosto, fuori al balcone o chiusi nella stanza a sentire musica a tutto volume e a parlare al telefono per interi pomeriggi.
E le urla delle prime litigate e le ribellioni sul modo di educare, le richieste da grandi mentre dentro erano ancora bambini, i borsoni preparati la domenica sera e ritrovati pieni di panni da lavare il sabato successivo, i viaggi sul continente, e le preoccupazioni di una strada da inventarsi col futuro troppo piccolo per poterlo racchiudere in un pezzo di carta.

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