La solitudine è la naturale condizione del magistrato ( giudice o pubblico ministero che sia)…..Se è indubitabile che ogni decisione sia generalmente preceduta dal confronto con altre opinioni ( espresse nella udienza, in una riunione operativa, in una camera di consiglio), il momento della elaborazione mentale della determinazione da assumere e quello della stesura dell’atto e quello, ancor conseguente, della definitiva assunzione della responsabilita’ con l’apposizione della firma avvengono in assoluta solitudine…..

E, tuttavia, la solitudine costituisce anche una insidia per il magistrato che- qualora arroccato nella sua torre eburnea- difficilmente potrebbe sottrarsi alla romanistica definizione : “summum ius, summa iniuria “….Ed allora, la vita del magistrato si dipana nella perenne ed ardua ricerca del punto di equilibrio fra solitudine- quale necessaria precondizione per schivare condizionamenti e compromissioni al fine di apparire ed essere imparziale- ed incontro con il mondo per evitare l’isolamento, affinché la decisione risulti tecnicamente corretta, ma, anche, equa e ragionevole,  dunque calata nella realtà circostante,  comprensibile ai più ed attenta alla umana condizione. 

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