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Il più efficace meccanismo di difesa contro il pensiero della morte è la rimozione. Non pensarci. Purtroppo la rimozione non interviene guidata dalla nostra volontà. Tra l’altro proprio rispetto alla morte la rimozione funziona abbastanza bene quando più si è giovani e la vita ci sembra eterna. Ma l’approssimarsi inesorabile dell’ultima ora – come si diceva un tempo – rende la rimozione sempre meno efficace. Infine, oltre che impossibile, bisogna anche chiedersi se sia proprio un bene non pensare mai alla propria morte.
E’ evidente che il problema si pone in maniera diversa per coloro che credono nell’esistenza di un’altra vita rispetto a coloro che pensano che non esiste nessun al di là.

E tuttavia credenti e non credenti dovranno pur riconoscere che un mondo continuerà ad esistere anche quando non ci saremo più. E in questo mondo ci saranno i nostri figli, i coniugi, i compagni, i nipoti, gli amici, una umanità intera oltre agli animali, alle piante e all’universo che ci circonda. Se, per assurdo, potessimo rimuovere completamente il pensiero della morte ci sarebbe impossibile pensare a tutti quelli che restano e al lascito che desideriamo assicurare loro. Verrebbe meno – come osserva Francesco Campione, noto tanatologo italiano – “il sodalizio, che da sempre sostanzia ogni umanità, tra il morente del cui morire si fa carico il vivente e il vivente del cui vivere dopo la morte si fa carico il morente.”
Ma se tale sodalizio presuppone, da parte del morente, la necessità di farsi carico di quelli che gli sopravvivranno allora sarà si necessario preparare una valigia per il nostro ultimo viaggio, ma, stavolta, il nostro bagaglio non ci seguirà. Quest’ultima valigia contiene la dote che noi lasceremo ai nostri cari, ma anche a persone che non abbiamo mai conosciuto ma che beneficeranno di ciò che abbiamo saputo costruire nella nostra vita. Non importa se siamo medici, falegnami, casalinghe, scrittrici o muratori. Qualcosa di noi resterà per gli altri.


E’ evidente che con il passare degli anni e il sopraggiungere della vecchiaia la necessità di organizzare, in qualche modo, questa dote diventa qualcosa di più cosciente e più urgente. A chi darò la mia casa, l’orologio che era di mio nonno, i miei libri, le poesie che scrissi in gioventù? Ci sarà spazio per tutto? E si perché quando cominciamo a porci il problema della valigia ci accorgiamo che da qualche parte, in soffitta magari, c’è già una valigia, forse, ormai, un baule, con tante cose ( troppe? qualcosa verrà buttato? ) che avevamo cominciato a preparare senza pensare bene al loro destino. Ci sono quelle azioni, che a volte ci sono costate non poco, per aiutare i nostri figli nel loro percorso di vita, ma anche il frutto del nostro lavoro e di cui qualche traccia continua a vedersi, ci sono quei gesti di affetto o di solidarietà verso i nostri compagni che hanno reso loro la vita un po’ più sopportabile o addirittura migliore.
E troviamo anche, nella valigia, alcune cose che non ci piacerà vedere. Si tratta di sgarbi, a volte anche qualche cattiveria, quell’indifferenza che tanto fece soffrire quel mio amico e chissà quant’altro. Vorremmo togliere tutto questo per far spazio a cose migliori.

Ma non si può. Ormai sono là e vanno lasciate insieme a tutto il resto. Saranno gli altri a giudicare se tutto quello che ci sopravvive e che ormai è contenuto in una non tanto piccola valigia ha giustificato la pena che ci siamo dati per produrlo.

1 thought on “Enzo De Leo: La valigia che lasciamo

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