“E’ quando ci sei che mi manchi”
Franca Grosso

Il termine “narcisismo” ha finito per assumere sempre più una connotazione negativa e, anzi, dispregiativa. In realtà aspetti narcisistici fanno parte normalmente e necessariamente della personalità di ciascuno di noi. Secondo Freud il narcisismo rappresenta una funzione essenziale al fine di costruire una propria capacità di vita autonoma, di avvertire un’adeguata autostima, di percepire confini definiti della propria identità e, ancora, che questi confini delimitino parti di sé diverse ma bene integrate.

In questo senso è possibile parlare di un narcisismo sano e funzionale alla maturazione dell’individuo e al mantenimento di buone relazioni con gli altri. Per dirla in breve e in maniera forse eccessivamente sintetica, concentrarsi su se stessi, cedere al bisogno di idealizzarsi, rivedere con autocompiacimento i propri successi, sottolineare a se stessi le proprie qualità e cosi via ci aiuta a ricompattarci e ad affrontare con più forza le sfide del mondo esterno e soprattutto le relazioni con gli altri.
Tuttavia, condizioni di vita per così dire particolarmente difficili, possono rendere impossibile mantenere una buona e stabile immagine di se stessi e gli aspetti narcisistici della personalità finiscono per debordare divenendo man mano pervasivi, in diverso grado, della personalità. Si parla in questo caso di narcisismo patologico la cui importanza, nella definizione complessiva della personalità varia seconda dei casi (fino a giungere al cosiddetto narcisismo maligno).
Cosa c’entra tutto questo con la solitudine di cui Carlo ci invita a parlare?

Ho scelto di parlare brevemente di questa tematica per due motivi. Intanto perché ritengo che il diffondersi del narcisismo (come tratto importante della personalità o come vera e propria patologia sociale) abbia molto a che vedere con la solitudine. Non intesa in questo caso come condizione in cui siamo da soli senza nessuno che ci tenga compagnia. Ma, al contrario, parlo qui di quei momenti in cui questo sentimento è tanto più struggente perché abbiamo vicino a noi persone – amici, familiari, compagn@ – la cui presenza, avvertita a distanze siderali, ci fa sentire ancora più soli. E’ questa la condizione di chi vive relazioni, di qualunque natura, con uomini o donne con importanti tratti narcisistici della personalità.

Nella storia della psicoanalisi il narcisismo è di solito considerato l’antitesi perfetta della capacità empatica. Quest’ultima è stata definita in diversi modi. Ma nella sostanza quando parliamo di empatia ci riferiamo a un’esperienza emotiva che ci permette di condividere – di vivere insieme – i sentimenti di un altro. Insomma, stare veramente con qualcuno è possibile se abbiamo la capacita di entrare in sintonia con gli altri, di fare esperienza dei sentimenti altrui. Questa possibilità è preclusa, in tutto o in parte, a coloro la cui personalità presenta rilevanti aspetti narcisistici. E preclusa al narcisista ma anche a chi si accompagna con lui.

Ha ragione Alfonso D’Arco, quando su questo blog parlando del rapporto medico paziente, pone l’accento sull’empatia come unica possibilità che si stabilisca fra i due una relazione reale. Senza questa relazione il malato rimane solo con la sua malattia e il medico finisce per perdere potenzialità terapeutiche enormi e una ricchezza che questo mestiere eccezionale è in grado di dare. Vale la pena di ricordare quel che diceva G.A. Maccacaro “L’unica salvezza del medico è con il malato che a lui la chiede” Sappiamo che per molti motivi, per i medici come per chiunque altro, la possibilità di una relazione empatica è una problematica – soprattutto in epoca di social – più che mai all’ordine del giorno.

La questione è resa più complessa (e più grave) dal fatto che le caratteristiche della società odierna sono tali da favorire il diffondersi in maniera esponenziale dei tratti narcisistici della personalità.
C. Lasch, alcuni decenni fa, ha scritto un saggio diventato poi molto famoso che si intitola appunto “La cultura del narcisismo”.

Si tratta non solo della descrizione di alcune caratteristiche psicologiche sempre più diffuse e tipiche di questa epoca, ma anche di un tentativo di individuarne cause e genesi.
Per cui, individualismo, difficolta ad esprimere sentimenti empatici nelle relazioni, culto del corpo e del successo vengono messi in relazione con la perdita progressiva di sicurezza e di autostima, caduta del principio di autorità, esasperato consumismo e valori diffusi da una pubblicità che al consumo smodato ènaturalmente finalizzata.
Ecco quindi che la questione si complica. Il desiderio di uscire da una condizione di solitudine trova seri ostacoli in tendenze socio – culturali che vanno in una direzione antitetica. Naturalmente esistono gruppi, persone, istituzioni che, anche se minoritari, si muovono, con proposte e azioni concrete, in direzione opposta. Vanno sicuramente da ascriversi a quest’ultime le numerose e sempre molto partecipate iniziative di Carlo che, stimolando il nostro narcisismo (sano, si spera) tendono a creare spazi di confronto, memoria condivisa, partecipazione collettiva e paritaria.

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