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Anch’io, come altri che hanno scritto su questo blog, preferisco una valigia leggera. Ma quando ho cominciato a pensare al tema che questa volta ci è stato proposto e procedendo mentalmente per associazioni, quasi senza farci caso, mi sono venute in mente le valigie dei migranti, il bagaglio che questi viaggiatori per forza maggiore si portano dietro nelle lunghe traversate tra terra e mare, quell’aggettivo mi è parso fuori luogo. Mi sono sentito quasi un po’ ridicolo pensando alla borsa che qualche volta porto con me in qualche fine settimana preoccupandomi di non farmi mancare lamette e dopobarba. Lo so, così stanno le cose. Ma è meglio che ogni tanto ce lo diciamo: esistono altri viaggi e altre valigie.

Ma intanto mi è venuta la voglia di approfondire un po’ l’argomento.

Ho scoperto così che sui bagagli dei migranti esistono diversi studi e interessanti pubblicazioni. Tramite queste ho appreso che la gran parte delle poche cose che i migranti portano con sé sono ricordi della loro terra. Molte fotografie contenute in un immancabile cellulare e oggetti di vario genere spesso singolari. L’antropologo Luca Pisoni, autore di un’importante ricerca poi pubblicata in un libro – Il bagaglio intimo, Meltemi linee – parla di bibbie, corani, amuleti vudù, mazze da cricket e magliette di calcio. Insomma tutto quello che può alleviare la nostalgia di un paese che potrebbero non rivedere.   Giustamente, a questo proposito, scrivono V. Pieroni e A. Santos Ferminino – “La valigia del migrante” ricerca finanziata dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali – che quando il migrante parte si attrezza
“….portando con sé la sua valigia dove racchiude il suo progetto di vita e tutto il suo bagaglio fatto di speranze, sogni, nostalgie, paure per il distacco dalla rete familiare, amicale e sociale. Come tale la valigia rappresenta il contenitore più prezioso per l’immigrato, in quanto equivale alla sua identità: li dentro egli racchiude il suo modo di essere, il bagaglio culturale, il progetto di andare a trapiantare altrove la sua vita. Emigrare significa infatti il distacco da quell’ insieme di relazioni familiari e comunitarie che nella cultura dell’origine proteggevano e garantivano sicurezza a ciascun membro della famiglia.”

Ma questi bagagli non sempre giungono a destinazione. Particolarmente esposti alla perdita di esso sono i minori, spesso bambini non accompagnati che vengono provvisti alla partenza di una valigia contenente quanto si ritiene più utile. Il caso di bambini che partono da soli è tutt’altro che marginale. Nell’unica ricerca che ho trovato su questo fenomeno vengono segnalati ben 15000 minori, bambini compresi, che hanno compiuto la traversata da soli tra il 2013 e il 2015. Nella gran parte dei casi, quelli che sono giunti a destinazione non avevano più la valigia.

Non e’ grossa, non e’ pesante
la valigia dell’emigrante…..
C’e’ un po’ di terra del mio villaggio
per non restare solo in viaggio..
Un vestito, un pane, un frutto,
e questo e’ tutto.
Ma il cuore no, non l’ ho portato:
nella valigia non ci e’ entrato.
Troppa pena aveva a partire,
oltre il mare non vuol venire.
Lui resta, fedele come un cane,
nella terra che non da’ pane:
un piccolo campo, proprio lassù…
ma il treno corre: non si vede piu’.
Gianni Rodari

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