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Non c’ è solo una solitudine “fisica” ma anche la solitudine che si prova circondati dagli altri, nella propria famiglia, nella cerchia dei propri amici, nell’ ambiente di lavoro; è quella della non-comunicazione e della incomprensione. È una condizione pesante e frustrante che alla fine logora quanto la “vera” solitudine anche se non ne ha il silenzio/silenzio, l’assenza di affetti, l’isolamento. Apparentemente.
L’amore, l’affetto anche quello ancestrale e biologico, quello naturale tra madre e figlio, quello inestirpabile, anche esso vive di comunicazione, di condivisione, di complicità, di compatibilità. Senza queste modalità il rapporto diventa sofferto e monco. Come si arriva ad una tale situazione? Cosa può provocare questo senso di solitudine tra una folla di presenze?

Se escludiamo una condizione puramente soggettiva, di disagio comunicativo ai confini con qualche psicopatologia, i motivi possono essere diversi. Ci sono elementi “divisivi” che scavano fossati tra gli esseri umani e questi possono concretizzarsi in passioni, gusti, sensibilità, visione del mondo, conoscenza, maturità, esperienze diverse. Tutto questo erge steccati. La condanna al silenzio è il prezzo che si paga al mondo degli affetti per la propria diversità. E dunque questa solitudine è un fardello che non genera empatia, che non produce il balsamo della comprensione. Al contrario ti circonda di insofferenza e rifiuto.

In una recente visita dal mio endocrinologo, scambiandoci notizie e considerazioni sugli ultimi aggiornamenti scientifici sul ruolo delle disbiosi in una serie di affezioni che coinvolgono l’ asse intestino/cervello, il dottore ha osservato: “Ma lei che conosce tanto su questi argomenti, non è molto isolata?
L’ ho guardato, assentendo con un senso di grande amarezza: “Certo, dottore!
E lui ha continuato: “Eh, immagino, spesso, al di fuori dell’ ambito professionale, l’ isolamento me lo vivo io che sono medico, figuriamoci lei che non lo è“. Appunto. Ma questo è solo un esempio. Come fare, allora? Allenarsi a separare affetto e comunicazione, amore e condivisione. Comunicare solo con le persone (ci sono, sì, per fortuna) con le quali si con-divide. Imparare ad amare nonostante la solitudine.

Per Voltaire la più felice di tutte le vite è quella di una solitudine affollata. Vediamola così. Occasione di crescita interiore, ridimensionamento del proprio io, accettazione della impossibilità di comunicare, esercizio di amore incondizionato per l’ altro.

1 thought on “Elisabetta Di Marino: Un’affollata solitudine

  1. cosa ne pensa AI
    La tua riflessione è profonda e tocca un punto importante sulla solitudine che può essere presente anche in mezzo alla folla, in famiglia, tra amici o sul posto di lavoro. Questo tipo di solitudine può essere altrettanto debilitante e difficile da affrontare come quella fisica, se non di più, poiché può mancare il supporto che ci si aspetterebbe dagli altri.

    Le cause di questa solitudine “in mezzo alla folla” possono essere molteplici e vanno oltre una semplice condizione soggettiva. Come hai indicato, fattori come le differenze di passioni, gusti, visioni del mondo e esperienze possono creare barriere nella comunicazione e nella comprensione reciproca. Queste differenze possono erigere steccati emotivi che portano alla mancanza di connessione e alla sensazione di isolamento, nonostante ci si trovi in compagnia di altre persone.

    Il tuo dialogo con l’endocrinologo è un esempio eloquente di come anche persone istruite e ben informate possano sentirsi isolate a causa della mancanza di comprensione o affinità con coloro che le circondano al di fuori del contesto professionale.

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