A Mariano, il mio amico che è andato via rendendo il mio mondo più povero e più silenzioso, confidavo tutte le mie idee; non diceva mai no, ma dalla luce dei suoi occhi capivo se la cosa lo convincesse o meno. Con Elfifu subito d’accordo; in effetti anche lui era un elfo e arricchì la proposta con i suoi fulminei guizzi. Elfi fu un gruppo di scrittura creativa a tema. Eravamo in quindici ad incontrarci ogni 30 giorni per leggere le pagine (rigorosamente A4) scritte da noi su un tema scelto il mese prima ed il gioco consisteva nel dover accoppiare i racconti con gli autori ed anche in questo Mariano era bravo. Credo che per tutti fu una piacevole e stimolante iniziativa.

Il primo tema, prendendo spunto da un racconto di Čechov, lo volle scegliere proprio lui e fuLo specchio” ed io scrissi quel che segue:

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A casa di mia nonna, in una delle tante stanze del primo piano, c’era un armadio a doppia anta, ognuna con un grande specchio.
Lontano dalla vecchia cucina, dove le numerose donne della mia famiglia usavano trascorrere il tempo chiacchierando e cucinando, il mio passatempo preferito consisteva nel posizionarmi fra i due pannelli e osservare il gioco del mio viso, del mio corpo, dei miei occhi, che rimbalzavano incessantemente più o meno numerosi all’avvicinarsi e all’allontanarsi delle superfici riflettenti.

Entrare in questi mondi paralleli fatti di luce e di fantasia era un viaggio sempre meraviglioso. Mi intrigavano questi ubbidienti me stessi disposti a ripetere velocemente le mie smorfie e i miei movimenti per poi sparire e ritornare nel loro universo misterioso appena io decidevo in tal senso, chiudendo le ante.
Avrò avuto forse undici anni ed era l’ultimo giorno d’estate. Valigie già pronte, tutti in procinto di lasciare Pertosa per ritornare un po’ malinconicamente a Cava. Di lì a pochi minuti sarebbero comparsi i due muli di mio zio sui quali i miei avrebbero caricato i bagagli e ci saremmo avviati a piedi lungo la discesa e la successiva faticosa e mesta salita verso la stazione situata in alto lungo i pendii degli Alburni.
Come facevo sempre prima lasciare il paese volli correre a salutare i miei compagni di gioco.
Entrato nella camera presi a manovrare gli specchi ma dopo aver guidato per qualche minuto con le mani appoggiate sulle maniglie, chiamato dalla voce perentoria di mia madre, mi apprestavo a bloccare i battenti con un ultimo movimento a fisarmonica, ma questa volta i miei numerosi gemelli non mi assecondarono e prima di essere risucchiati dalla chiusura dell’armadio, invece di ripetere i miei gesti, fecero malinconicamente ciao con le mani.
Una, due, tre volte! L’apparizione sulla porta di mia sorella Rosa, inviata dai miei genitori a scoprire dove mi ero cacciato, mi costrinse ad allontanarmi.
A natale, ritornato a Pertosa, dopo aver fatto di corsa tutto il percorso dalla ferrovia al paese, mi precipitai nel mio magico rifugio, ma grande fu la mia delusione nello scoprire che uno degli specchi si era rotto ed era stato sostituito da un pannello di legno.
La giostra dei mondi era scomparsa per sempre, portandosi via la mia fanciullezza.
Ancora oggi mi chiedo come le mie immagini riflesse avessero potuto in quel momento sapere che si trattava di un addio definitivo.

3 thoughts on “Elfi

  1. Che stupendo racconto hai scritto, Carlo!
    Dolcissimo, sei proprio tu, quel bambino é rimasto in te, sei tuttora quelle immagini moltiplicate dagli specchi, la mente ricca di sfaccettature.

    Mariano nei gruppi di persone aveva un effetto ‘lenitivo’, accordava e rendeva concordi le varie voci, armonizzava le attività ed i pensieri, ci manca molto. Non ne nascono più.

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