Su Ulisseonline un’ intervista su come vedo il futuro di Cava

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Splendida Lina

di Elvira Coppola

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Ieri sera a san Francesco serata magica. Organizzata dal Comune. Stavolta non si può criticare nulla!
Lina Sastri ha incantato tutti. La sua napoletanità violenta intensa con la voce roca piena di terra e mare arriva dall’antico. Antico millenario che ci dipinge assolati tragici e multietnici. Meticci di popoli e storie. Le contaminazioni dipingono il nostro divenire senza sbavature. Essenza d’aromi passioni accettazioni. Noi siamo l’arcobaleno del mondo.
Tutto questo percepisci quando questa minuscola donna si esibisce e sulla scena e lievita spaziando fino a carezzare l’anima di tutti gli spettatori. L’arte regala questo dono agli artisti. E gli artisti quelli veri quelli bravi la spandono generosamente.
Lina Sastri ha recitato Filumena Marturano quando chiede alla Madonna se tenere un figlio del “peccato”. “I figli so figli” e una voce lontana svela il mistero della natività. Lina ha cantato Dalla. “e ora che gioco a carte e bevo vino per la gente del porto sono Gesù Bambino”
Lina ha cantato Merola l’emigrante e la struggente nostalgia del Natale.
E poi canzoni del popolo canti di Natale, nenie tramandate dalla notte dei tempi, cullate da violini tamburi e ritmi incalzanti che accompagnavamo con mani sussurri corpi dondolanti e sentimenti che ci tenevano uniti tutti, vecchi bambini, in una basilica amata, ricostruita dalle macerie dalla generosità del buon popolo cavese.
Alla fine il trionfo della Tammurriata nera narra di un popolo accogliente dove da sempre tutti hanno spazio per vivere ed essere amati senza necessità di programmi d’integrazione.
Il canto di Lina Sastri arriva oltre il cuore. Arriva alle viscere come se attraverso quel canto ciascuno stia generando un senso intenso di appartenenza.
Alla fine il coro della chiesa lambiva la volta. Tu scendi dalle stelle la cantavamo tutti.




Giancarlo Durante: che ruolo per noi?

Cari Carlo e Enzo,  per me è sempre un piacere leggervi,  anche perché le occasioni di vedersi sono diventate rare e, forse,  i social qualche opportunità aggiuntiva ce l’hanno pure data:quella di mantenere i contatti tra di noi, anche se in forma virtuale. Certo mi lusinga che ci sia qualcuno che ti cerchi per sentire come la pensi (?)  e che faccia da muro contro un’abulìa mentale in agguato.  Detto questo, però no!Per quanto mi riguarda non ho più la forza (qualcuno, sosterrebbe la vis polemica)  di una volta, né, semplicemente, conservo stimoli per abbozzare una qualche proposta politica o sociale che si possa rivelare degna di questo nome. Io poi, (non so voi), sono fuori dalla vita lavorativa attiva, non ho alcun incarico di responsabilità, non posseggo alcun ruolo in pubbliche o private amministrazioni, non sono massone, non sono iscritto al Rotary né ai Lyons. Amministrare, lo sapete,  è terribilmente complesso e, anche, alla fine, talvolta scarsamente remunerativo in rapporto al carico di responsabilità che comporta. Certo ci sono buoni e cattivi amministratori o amministratori semplicemente mediocri.

Ma è gente che ha saputo comunque raccogliere il consenso della maggioranza dei cittadini. Ricordo quando, tanto tempo fa(era il 1999!)  ebbi l’ardire di presentarmi alle tornata elettorale per le Provinciali. Non ce la feci, anche perché metà del partito non mi sostenne. Ma ottenni,  non è solo un giudizio personale, un lusinghiero risultato. Mi dissero che avevo fatto confusione tra proposte tecniche e proposte politiche. Conservo da qualche parte ancora dei folders dove mi illudevo(figuriamoci!) di rafforzare alla Provincia le funzioni perse di sanità pubblica, a partire dall’abolizione della figura del Medico Provinciale. Mi avventurai anche in diverse idee di orientamento ambientalista:proponevo, tra l’altro, una sorta di road pricing per alleggerire il traffico veicolare alla Badia. Più di venti anni dopo, visto quello che sta accadendo nel mondo, una piccola, personale rivincita,  forse, l’ho ottenuta. Ma chi vuoi che si ricordi!

Ma, poi,  con tutta sincerità credo che bisogna dare spazio a una classe politica più giovane (abbiamo amministratori vecchi e continuiamo a essere un Paese dove tuttora vige una strisciante gerontocrazia) . C’è bisogno,  a mio avviso,  di una generazione che maneggi bene i social, che sappia interagire con sistemi d’intelligenza artificiale sofisticati e riesca ad inserirsi negli spazi che questi ci vorranno lasciare. Non so voi, ma io ho qualche difficoltà,  anche solo a livello locale, a pensare a uno schema di proposte sociali realizzabili in questo nuova schema di pensiero e in una realtà così riglobalizzata.  Con questo non voglio dire che dobbiamo, alla nostra età, stare alla finestra e attendere la fine. No. Un ruolo di “consigliere”, di esperto, uno se lo può sempre ritagliare. Ma che ci si limiti a questo.

Permettetemi, infine,  di cogliere l’occasione che mi avete dato per farvi una confidenza.  Il sentimento che provo,  giunto a questa fase della mia vita,  come persona non credente: un senso di vuoto, che sta diventando una sorta di ossessione,  che corre sotto pelle come una fastidiosa fascicolazione muscolare. Ma anche una disposizione d’animo che somiglia sempre più a un senso di straniamento,  di distanza, che arriva financo all’invidia,  che mi ritrovo a provare nei confronti di tutti quelli che siano credenti,  fedeli cristiani,  quelli che si consolano nella certezza di un aldilà e si vedono al cospetto di un Dio giudicante, quelli che ardentemente sperano di rivedere i propri cari, i propri amici in un mondo parallelo composto di anime,  di spirito.  Senza arrivare alle forme di anti-clericalismo alla Odifreddi,  ritengo questa una forma di trascendenza abbastanza infantile,  se non rozza,  certamente inquinata da una visione terrenocentrica.  

Siccome il tempo si va irrimediabilmente accorciando è su questo mio “mood”,  quest’assenza di consolazione che,  cari amici,  adesso tenterei di “ragionare“ con voi.   




Enzo De Leo: Una città disattenta

Esiste a Cava  –  ma un po’ dappertutto – una sofferenza sommersa, profonda, diffusa. Una sofferenza che non fa notizia – se non occasionalmente e in maniera spesso clamorosa e shoccante – che è vissuta in silenzio e che trova un ascolto limitato, insufficiente. Un ascolto e qualche debole risposta da poche e spesso malmesse istituzioni pubbliche e qualche gruppo di volontariato.

E’  la sofferenza di quelle famiglie che hanno al loro interno un proprio membro portatore di problemi gravi che si collocano tra la sfera sanitaria e quella sociale e psicologica. 

Si tratta di ragazzi tossicodipendenti gravi, anziani con demenza di Alzheimer, persone con severa disabilità, giovani autistici, sofferenti psichici gravi talvolta anche fortemente aggressivi, giovan@ con patologie anoressiche o bulimiche donne che subiscono violenze soprattutto da parte del coniuge.. e si potrebbe continuare.

E’ difficile immaginare, per chi non vive queste condizioni, l’impatto devastante che esse hanno sui nuclei familiare e l’infelicità che inevitabilmente comportano.

Sono convinto, anche se questa sensazione non è, per il momento, sostenuta purtroppo da dati più precisi che non le sensazioni che uno psichiatra prova nel suo studio con frustrazione e senso di impotenza e alcuni indicatori che emergono dalla situazione nazionale – sono convinto, dicevo, che qui a Cava tali situazioni siano causa della sofferenza più profonda e diffusa e a cui siamo meno attenti ( fatte salve lodevoli eccezioni ).

Si può fare qualcosa in più di quello che attualmente, spesso con sacrifici personali, si riesce a fare? Io credo che il Comune possa, per esempio, mettendo in campo risorse anche molto limitate assumersi il compito di coordinare, organizzare e mettere in rete tutto quello che in maniera sparsa e disorganizzata esiste e produce risposte, pure utili, ma largamente inadeguate ai bisogni che spesso non vengono espressi anche perché non si conosce l’interlocutore competente. 

Ecco, mi piacerebbe discutere di questo.




Prima di fuggire….

Ho letto da qualche parte questo:

Da quando ho perso l’illusione di cambiare il mondo qualche volta galleggio e qualche volta affondo.

Cambiare il mondo forse non si può ma non vorrei affondare in questa nostra città sempre più melmosa, sempre più grigia, sempre più respingente. Vivere in questa Cava, dove l’unica cultura è quella del cemento e del commercio anonimo, diventa sempre più triste e difficile.

Prima di fuggire senza scrupoli in qualche Puerto Escondido forse bisogna ancora una volta porsi qualche domanda.

Possiamo fare qualcosa per la nostra città? Possiamo ripensarla? O dobbiamo arrenderci definitivamente e consegnarla ad un populismo ex-monacale, o a una destra miope e strapaesana o rassegnarci ad una miserevole continuazione con altri sinistri personaggi dell’esperienza Servalli responsabile della peggiore amministrazione dal dopoguerra in poi?

E’ possibile fare o almeno dire qualcosa affinché le uniche cose che cercano di rompere la catatonica monotonia cavese,  a parte l’ondata di cemento che ci aspetta, non siano la stanca e malinconica disfida dei trombonieri o l’elezione di miss Italia provinciale?

Che risposte dare, non ai commercianti (fra l’altro sempre meno cavesi), ma ai giovani, ai lavoratori, ai genitori, agli anziani, agli abitanti delle frazioni a cui la città offre servizi, opportunità ed interessi  sempre più scadenti, una città in cui, se non vuoi o non puoi spendere soldi in una affollata pizzeria, l’unico modo di impegnare il tempo libero è quello di mettersi alla finestra a vedere i vari fuochi di artificio che ogni notte compaiono come funghi o ascoltare il persistente e ossessivo rumore di tamburi che ammorbano l’aria quasi tutte le sere, o per i ragazzi scendere in piazza dove fra una birra e un’altra puoi assistere o partecipare a più o meno violenti scontri di bande o, come vittime o come carnefici, ad impietosi  atti di bullismo.

Una città che emana il cattivo odore dell’acqua di palude dove degrado, sporcizia e stagnazione la fanno da padroni e dove, fatta rara eccezione, le voci che più si sentono sono i versi di rospi che gracidano tanto più forte e spesso quanto più sono stati e sono responsabili del pantano in cui hanno gettato la nostra Cava.

Possiamo fare qualcosa? E se sì da dove cominciamo?