Mariano, Ainis, il Portico delle Idee

Si è vero. Mi sono un po’ intrippato sulla solitudine. Ma non è tutto merito(?) mio:  il vagabondare dei miei pensieri giornalieri finisce per condurmi molto spesso  verso i miei amici; a quelli,  che per mia fortuna ancora mi accompagnano nella vita, posso telefonare, inviare un messaggio; oppure posso  invitarli a prendere un caffé, parlare con loro delle nostre idee e dei nostri stati d’animo. Ma quando nella mia mente incontro quelli che ci hanno lasciato, non posso far altro che rifugiarmi sul ricordo dei loro sorrisi, delle loro parole, delle magnifiche ore trascorse con loro, delle emozioni che ci hanno tenuti insieme; così una decina di giorni fa  pensando a Mariano e alle nostre chiacchiere sulla lettura e sulla scrittura sono andato a rileggere il suo post sul portico delle idee

https://files.spazioweb.it/1c/db/1cdb8dd3-a3c6-49e4-aec1-172a1b7ec443.pdf

Ed ho ripreso in mano il libro di cui parla e da lì  l’idea di avventurarmi in questa richiesta di parlare della solitudine. Se fosse ancora con noi avrei chiesto il suo parere a riguardo; mi avrebbe detto come sempre sì, ma dal suo modo di modularlo avrei capito se fosse stato veramente d’accordo. Invece ho dovuto decidere da solo! Ecco scrivo questo per invitarti a leggere sia il post di Mariano sia  il libro di Michele Ainis

Se vuoi dare un’occhiata prima di acquistarlo puoi vedere qui

https://nuvola.porticando.eu/s/9k5ParY8nJFqyQS




Gioventù circolare

di Enzo De Leo

I ricordi della nostra giovinezza – quando ormai questa fase della nostra vita è passata da tempo – sono avvolti da un alone di nostalgia che, talvolta, induce a deformare un po’ la realtà. Tendiamo, ad esempio, spesso a pensare, come dice Guccini che “eran belli i nostri tempi”. I fatti, le atmosfere, i luoghi, le passioni di quelli che furono giovani con noi ci appaiono tutt’altra cosa rispetto a quelli di oggi. E’ una tendenza a cui non sfuggono quasi tutti gli anziani di ogni epoca.  Ma è proprio così?

Difficile naturalmente dare una risposta univoca. Le condizioni di vita – non solo materiali – dei giovani di alcune epoche è stata certamente migliore di quella di altri periodi. Per non parlare dei destini individuali a volte particolarmente sfortunati, a volte caratterizzati da una sempre relativa serenità.

L’articolo di Carlo sul circolo di “Fonz  ‘u vasc” ha fatto nascere in me uno di quei momenti di nostalgia ( nostalgia del circolo di “Fonz ‘u vasc” ?! ) inducendomi a una riflessione con incerte pretese di oggettività. Ho pensato che se anche un circolo finalizzato al gioco delle carte, e spesso al gioco d’azzardo, divenne di fatto un luogo di aggregazione di giovani che condividevano qualcosa in più della passione/vizio del gioco non è stato tanto merito né del gestore né dei giovani. E’ stato invece, a mio avviso, il risultato di quella che era l’atmosfera di un’epoca. Un’epoca in cui i giovani tendevano naturalmente ad aggregarsi, a costruire spazi condivisi, a essere attratti verso quelle realtà in cui l’aggregazione era già avvenuta. (Naturalmente esistono anche adesso realtà in cui tanti ragazzi si ritrovano. Ma non costituiscono più un elemento che caratterizza la nostra epoca).

Provo a nominare alcune di quelle realtà che, qui a Cava, tra gli anni 1960 e 1970, furono molto presenti e vivaci e, soprattutto, molto frequentate.

C’erano, dunque, le associazioni che aderivano all’azione cattolica o comunque cattoliche (la S. Francesco, l’Antoniana, la Pippo Buono, gli scouts e, per gli universitari, la FUCI ), il Tennis Club – non proprio un circolo giovanile ma con una larghissima rappresentanza di giovani – , il Club Universitario Cavese, la sezione Gramsci del PCI, le associazioni che gestivano radio libere, e poi la IV Internazionale, il collettivo “donne in rivolta”….

C’è stato anche, per un certo periodo – 1968/69 –, il Gruppo 3, costituito da giovani che condividevano un’ideologia all’incrocio tra la cultura hippy e quella della sinistra radicale.
L’offerta aggregativa, per così dire, era estremamente ampia e variegata.
Le diverse associazioni, infatti, avevano identità abbastanza ben definite: diverse associazioni cattoliche, il Club universitario cavese che ben rappresentava quella che era stata una cultura molto diffusa in Italia dal dopoguerra in poi e cioè la goliardia, il Tennis, circolo più esclusivo e principale espressione della borghesia cavese, e poi associazioni o partiti di sinistra storica o radicale ( ma anche estrema destra ), circoli giovanili come la Sad, il Beat Club, il Ragno Rosso ecc..

La presenza di queste realtà rendeva, sotto un certo aspetto, la vita dei giovani un po’ ( o tanto ) diversa da quella dei loro coetanei di oggi.  Intanto perché si poteva uscire tutte le sere sapendo sempre dove andare trovando altri ragazzi con cui si chiacchierava, si giocava a carte, a calcetto, a pallacanestro, a tennis e così via. Ma anche perché la presenza di queste associazioni favoriva una progettualità condivisa e uno scambio vivace non solo all’interno delle singole realtà ma anche, a volte, nella contrapposizione tra esse.

Mi fermo. Si potrebbe continuare. Raccontare per esempio della vita quotidiana all’interno di queste associazioni, dell’azione dirompente che la rivolta studentesca del 1968 ebbe su di esse (non dissimile peraltro da quanto accadde nel resto d’Italia ) e tanto altro. Siccome però i protagonisti di quell’epoca son in maggioranza ancora vivi, spero che queste poche righe possano servire da introduzione a osservazioni, ricordi, analisi e quant’altro contribuisca ad arricchire la memoria del nostro passato.

Su
https://www.porticando.eu/index.php?/category/105
https://www.porticando.eu/index.php?/category/97
https://www.porticando.eu/index.php?/category/243
potrete trovare un ampia documentazione fotografica sulle associazioni e i circoli degli ’60 e ’70 nella nostra città.




Pertosa Express

di Benedetto Cafaro

Penso di essere in un blog dove molti mi conoscono e comunque mi presento: sono Benedetto di Pertosa amico di ” zi Carluccio” ( mi piace chiamarlo cosi!…) da almeno mezzo secolo..
Carlo trascorreva almeno una quindicina di giorni al paese dei suoi genitori l’estate alla fine degli studi…
A fine anni 60 ( per quello che mi ricordo..) iniziò questa sua frequentazione al Muraglione la contrada in prossimità delle grotte dove la mia famiglia aveva un piccolo alberghetto.

Agli inizi del 2000 Carlo e Rosaria mi fecero conoscere i loro giovani e meno giovani amici con i quali io, mia moglie Carmela e mia figlia Antonia legammo subito tanto è vero che per diversi anni in molte occasioni furono ospiti alla pari nel ristorante-albergo per intere giornate e spesso nottate, a volte anche accompagnati dalle loro signore.
Per me fu facile amarli: un sacco di risate, gustose mangiate insieme, lunghe e stimolanti discussioni sui massimi e sui minimi sistemi, cavatelli e vino in abbodanza, musica e divertenti racconti e poi il loro prezioso aiuto nelle giornate di lunedi in albis e ferragosto quando facevano da provetti camerieri, lavapiatti e uomini di pulizia.
La vita ci sorrideva allora e alla grande!…
Di ricordi ne ho una miriade…ci siamo frequentati fino ad aprile 2011 mese in cui ho abbandonato Pertosa…
Se penso a Carlo: davanti i miei occhi appaiono vivide le immagini di quanti mi sono stati Pertosani d’adozione in quel decennio: i nipoti di Carlo: Raffaele(🙏) e Armando, Marcello, Ermeneziano, Enzo Lampis, Roberto e Vincenzo De Leo , Sandro, Salvatore il greco, Giuseppe il farmacista, Enzo il pescatore fortunato, Mario il giocatore di pallone goleador in una sfida a calcetto con i ragazzi di Pertosa e poi Enzo Senatore, Ivan e tanti altri ancora. Con tutti ho trascorso ore indimenticabili.
Ora però voglio raccontarvi un episodio degli anni precedenti quando erano i familiari di Carlo a frequentare l’albergo Cafaro…
Sarà stato il 68/69 ed in quel periodo il ristorante era il luogo di ritrovo dei giovani pertosani.
Carlo venne per qualche giorno con il cognato Matteo ( ora se non erro vive a Sondrio..)
Matteo: solare,loquace, empatico si integro’ subito con noi del Muraglione…
All’epoca fra di noi quando nei ragionamenti una persona si dimostrava caparbia e ottusa si era solito dire : “Tu ragioni a livello di “Sciartone
I soprannomi nei paesi avevano una logica certa.
Sciartone era l’unico pecoraro rimasto;
aveva una sessantina d’anni e un aspetto trasandato e rude…
Ogni tanto veniva al bar-tabacchi del ristorante per comprare le sigarette.
Probabilmente aveva le pecore al pascolo nei terreni vicino….
Matteo era da una decina di giorni con noi e aveva interiorizzato la frase che ricorreva spesso nei nostri discorsi pertosani e imparò presto a pronunciare la frase “Ragioni a livello di Sciartone” nelle chiacchierate che non mancavano mai nelle dolci serate dell’estate pertosana.
Matteo non conosceva Sciartone ma caso volle che i due una mattina si trovassero davanti al bar ognuno ignaro di chi fosse l’altro.
Per puro caso intavolarono un ragionamento…
Non passarono 10 minuti che Matteo di fronte alla caparbietà del pastore ebbe a dirgli: MA VOI RAGIONATE PROPRIO A LIVELLO DI SCIARTONE!….

Non vi dico che faccia fece Sciartone né l’espressione di Matteo quando tutti noi scoppiamo in una fragorosa risata.




Dal bianco Natale al Natale in bianco

di Giancarlo Durante

Eccoci qua! Anche quest’anno è arrivato. Si, è arrivato il Natale 2023!  In verità è da oltre un mese che ce ne siamo accorti. In pratica quando il clima dalle parti nostre non mostrava segni di ravvedimento, cullandosi, imperterrito, nell’anticiclone nordafricano, con uno zero termico quasi sulle vette dell’Himalaya, le tivù si erano già portate avanti e iniziava imperturbabile il martellamento delle pubblicità di nocciolati e mandorlati, l’atroce dilemma tra pandoro e panettone, l’iconica slitta trascinata dalle renne di Rovaniemi, il barbone-guardone che scosta la neve dalla vetrata appannata a mostrare la famigliola americana emozionata attorno all’albero di Natale imbandita del bendidio compresa la marca del prodotto da pubblicizzare. La gente non aveva nemmeno avuto il tempo di asciugarsi dall’ultimo tuffo a mare, che già le radio private iniziavano con i vari pezzi natalizi:Jingle bells, Last Christmas, Bianco Natale, etc. . . Oramai è così: le ricorrenze, i tempi in cui queste vengono scandite, sono dettate da esigenze prevalentemente commerciali. Ma ogni anno ritorna anche, come piacevole persecuzione, quella strana coincidenza scolpita sul marmo, indelebile, la ricorrenza della mia di natalità, 25 dicembre dell’anno 1950. Spesso mio malgrado, in questo periodo mi trovo a riflettere sul fatto che se , per avventura, fossi stato capace di diventare un personaggio famoso, non so nel campo sanitario o in quello letterario, artistico, politico o fosse solo in una delle tante discipline sportive, alla fine chi fosse stato costretto a citare la mia data di nascita (lasciamo in sospeso, per il momento, l’altra data)non avrebbe dovuto sforzarsi più di tanto. Ma la vita, si sa, raramente prende le pieghe volute. Anche se quel giorno così importante per la religione cristiana e che, per puro caso, coincide con la sera in cui decisi di venire al mondo alla fine saranno in pochi a ricordarlo.  Ma diciamo che questo aspetto non mi assilla né è il mio cruccio prevalente, perché, alla fine, penso che le cose non mi siano andate così male! Mi ricorda ogni anno un mio caro amico, tetraplegico per un tuffo all’età di 15 anni, medico psichiatra, romano, con una splendida moglie tunisina e uno splendido figlio di 12 anni:

Giancà, mi dice da anni, tra Hermes, Mitra, Zoroaster e lo stesso Gesù, l’unico che io conosca nato nel giorno della festa del Sole invitto sei tu! Non sembra proprio così, perché la storia di Gesù una sua originalità e grandezza ce l’ha, solo se si pensa che a distanza di più di due mila anni raccoglie più di 2, 4 miliardi di fedeli sparsi in tutti i continenti o se si riflette che un’improbabile storia, come quella dei Re Magi sia riuscita ad arrivare, intatta, sino a noi. E, poi, vuoi mettere! Quella coincidenza una sua importanza per me l’ha avuta, se ancora uno dei ricordi più emozionanti della mia vita, nonostante gli anni trascorsi, è quello di quando, nella grande casa paterna ricca di grandi stanzoni privi di corridoi, mia nonna disponeva ai nipoti più grandi di approntare un presepe, che dovesse occupare tutta una parete del salotto, animato da pastori napoletani d’inizio ottocento. Per via di quella coincidenza con le manine ancora poco capaci a contenere bene il pargolo, l’incarico di portare, subito dopo averlo fatto nascere, il bambino Gesù a zonzo per le stanze della casa avita spettava proprio a me.  Avevo 6-7 anni, ma il ricordo dell’emozione di quelle serate, che, anche solo per pochi minuti, mi facevano stare al centro dell’attenzione degli adulti, non l’ ho mai perso. Ed era il bianco Natale, un Natale, se non povero, parco, privo di regali sotto l’abete non ancora entrato nelle nostra tradizione, in un ambiente freddo, riscaldato solo dall’affetto e dal calore dei genitori, dei fratellini, dei cugini, della nonna e degli altri parenti. A distanza di tanti anni quel bianco Natale, giusto per non cadere nel patetico, si è trasformato in un Natale in bianco per via dei dismetabolismi che nemmeno la potenza del rito riescono a far andare in letargo!




Giovanna Ferrara è volata via.

Se ne è andata un’altra meravigliosa giovane persona che con i suoi racconti ed il suo sguardo sul mondo ci faceva innamorare della vita. Che infinita tristezza! Voglio ricordarla riportando qui le sue scintillanti parole sui suoi anni liceali:

……………………………..

Eravamo “cuori in Atlantide”. Il nostro tempo era assoluto, erano gli anni in cui moltiplicavamo le visioni di parmenide, doppiavamo plutarco, sapevamo il flusso delle stelle e le scie della fisica, ci dividevamo tra la letteratura da programma e quella sperimentale, la politica ci riuniva in assemblea, eravamo arroganti e invincibili come lo sono tutti i corpi desideranti.

Sappiamo tutti, tra il 92 e il 96, di aver fatto parte di una anomalia collettiva, che prendeva il patrimonio di una conoscenza passionale e lo rendeva pratica di fecondazione del futuro. Noi di mestiere germogliavamo. In maniera prepotente, sfidando la docilità degli adulti, provocandoli sul terreno delle loro stesse competenze, ingaggiando con i professori più intelligenti infinite partite di senso, imponevamo il nostro ‘vogliamo tutto, a partire dall’impossibile’.

E non abbiamo mai trovato la miseria della prudenza. Ci è stato chiesto di sapere di più, di studiare di più senza che questa diventasse attività meritocratica. Il premio era il piacere, come nelle virtuose cittadelle del sole. Perché ad educarci non era solo un corpo docente allenato all’indisciplina del tumulto, era anche la natura. La cornucopia della costiera, gli scogli ed il mare. I limoni che si tuffavano sempre un minuto prima di noi. Le porte sempre aperte delle case, il vivere nella bellezza delle strade, l’essere la generazione figlia del 68, che sentiva le stesse canzoni dei genitori senza rinunciare al sacrosanto conflitto agito per dire ‘sono io, sono una moltitudine’.

Ed è per questo forse che ci hanno chiamato l’onda. Perché insieme travolgevamo e, al contempo, ci travolgevamo, ritrovandoci storditi per la vertiginosa pienezza della vita. Noi che la musica la facevamo nei garage, noi che scrivevamo i testi delle nostre canzoni, noi che eravamo i gruppi musicali, noi che riempivamo la piazza dopo la scuola per rimandare l’ora del pranzo. Noi che quando passavamo eravamo la gioia dell’eternità.

Nel mondo di fuori andiamo con il segreto di quegli anni. Li teniamo nella tasca, se siamo in difficoltà li tocchiamo con le dita del ricordo comune. E senza dirlo riconosciamo i nostri simili. Sono quelli che hanno negli occhi un sogno, quello di un mondo in cui ‘insieme’ è piu importante di ‘me’ e la conoscenza non serve a prevalere, ma ‘a prendere posizione’. Siamo quelli che avevano ragione. 

Giovanna Ferrara




Angela Pellegrino: nostalgia

Una città ‘sorridente’, questo mi manca della Cava di quando ero giovane. Cava era lieta, era allegra, ci si stava proprio bene.

I portici erano una sequenza di negozi di cavesi che tutti conoscevamo, e con cui le nostre famiglie spesso erano imparentate, o comunque erano amiche storiche, o almeno buone conoscenti.

Camminare per il corso era ‘stare in famiglia’, ci accordavamo per vederci davanti alla pasticceria Vietri o davanti a D’Andria, o davanti a Liberti ecc, e si comprava il buonissimo bacio dalla burbera ma indimenticabile signora Liberti, se avevamo i soldi.

Adesso non conosciamo più i commercianti, li sentiamo estranei, anonimi.

Del resto, nella maggior parte degli esercizi commerciali troviamo solo commesse (malpagate e sfruttate), non ci sono più i titolari, anzi molto spesso le ditte sono sconosciute, forestiere . . . mah, un po’ freddo tutto ciò, forse non per i giovani, ma per noi che ricordiamo certe cordialità, certa confidenza, sì.

E poi, andavamo a piazza Roma (così si chiamava) a comprare alla bancarella i lupini che mangiavamo nella villa raccogliendone accuratamente le bucce, e lanciandone qualcuno (pochi! avevamo fame) ai bellissimi cigni che ricordo con nostalgia.

Oggi i giovani passano le serate stazionando per strada, in quella che si chiama piazza Abbro, o sui gradini della chiesa di San Francesco, o lungo le vie del centro. A volte ho l’impressione che questi gruppi di ragazzi stiano in silenzio, si limitino a restare lì ciondolando, aspettando che il tempo passi e basta, che differenza con noi che chiacchieravamo, ridevamo, scherzavamo di continuo!  

Siamo troppo vecchi? E’ questa la normalità? Mah