Carlo: Insopportabile acufene

Il mio amico Goti che soffre di un coriaceo acufene mi dice sempre che il silenzio è il più temibile alleato di questo disturbo. Ascoltare la musica, stare in compagnia di familiari ed amici, vedere un buon film è come rifugiarsi sotto una campana di vetro che tiene fuori l’acuta monotonia del tinnito.

Succede a me, come a tanti altri, una cosa simile.

Se sto con Anna, con Lucia , con Rosaria, se mi faccio riscaldare dal calore dell’amicizia, se mi immergo nella lettura di un libro, se ad  accarezzarmi le orecchie sono  le mie canzoni preferite, se i miei occhi si perdono in immagini e scene accattivanti, se mi misuro con un problema di matematica o con una sfida a scacchi, se esco per una passeggiata nel verde, se dedico le mie ore a questo blog, se sono in viaggio o lo sto organizzando… ecco che i rumori sordi del mondo si attenuano fino qualche volta a scomparire quasi del tutto. La pace e la serenità nel mondo sono diventate rarissime , ma in questi momenti riesco a percepire,  anche se ovattato, il profumo della tranquillità interiore.
Ma le guerre, la merce, la miseria, la miopia e gli interessi, la crudeltà, l’arroganza, i bambini e le donne massacrati, le bombe, i soldi sporchi di sangue sono testardamente lì fuori e riescono sempre come un cavallo di Troia a penetrare nella mia mente anche se non leggo i giornali, anche se non accendo la tv. Appena alzo gli occhi il panorama grigio , spietato e doloroso mi appare immodificabile, anzi sempre più cupo e più nero.

Uguaglianza, libertà, fraternità, dignità come fede, speranza e carità sono ormai solo parole sempre più desuete e prive di forza.
Oscar Wilde diceva di essere socialista perché vedere la sofferenza degli ultimi gli impediva di vivere come individuo libero.  A me oggi la brutalità di questo mondo induce solo un senso di impotenza, di inadeguetezza ed i momenti anche gioiosi e leggeri della giornata sono sempre appoggiati su una amara vellutata di erbe indigeste.

Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio;
sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ’l disio.
E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:

e quivi ragionar sempre d’amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i’ credo che saremmo noi

Ma credo che non ci siano, se mai siano esistiti, approdi  o buoni venti per  questo vasel nel quale caricare le valigie mie e di altri trenta,  come sembrano non esserci per quanti, molto ma molto meno privilegiati di me, cercano di fuggire  dalla  miseria e dalle mitragliatrici su affollatissimi barconi con i loro bagagli di emigranti di cui parla Enzo. Per tanti di loro solo la morte  e la  spietata insensibilità di chi potrebbe e dovrebbe accoglierli ma reagisce  come il satollo riccone che, uscendo dal ristorante, al  mendicante che chiedeva l’elemosina perché aveva fame,  rispose “Beato te, io mo sto schiattando!”.

Il buon papa Francesco dice “Siamo tutti fratelli”.  No!  Su questo non sono d’accordo.   Quel satollo signore come tutti quelli come lui non sono miei fratelli; un tempo avevo creduto di poter svuotare le loro valigie e distribuirne il contenuto ora mi accontenterei di  poterne fuggire  lontano in un luogo per liberarmi dell’acufene che ogni giorno mi tormenta con l’insopportabile rumore delle loro falsità, della  loro ipocrisia e dei  loro non 7 ma 700 vizi capitali; ma l’isola che non c’è purtroppo veramente non c’è .




Enzo De Leo: La valigia dell’emigrante

Anch’io, come altri che hanno scritto su questo blog, preferisco una valigia leggera. Ma quando ho cominciato a pensare al tema che questa volta ci è stato proposto e procedendo mentalmente per associazioni, quasi senza farci caso, mi sono venute in mente le valigie dei migranti, il bagaglio che questi viaggiatori per forza maggiore si portano dietro nelle lunghe traversate tra terra e mare, quell’aggettivo mi è parso fuori luogo. Mi sono sentito quasi un po’ ridicolo pensando alla borsa che qualche volta porto con me in qualche fine settimana preoccupandomi di non farmi mancare lamette e dopobarba. Lo so, così stanno le cose. Ma è meglio che ogni tanto ce lo diciamo: esistono altri viaggi e altre valigie.

Ma intanto mi è venuta la voglia di approfondire un po’ l’argomento.

Ho scoperto così che sui bagagli dei migranti esistono diversi studi e interessanti pubblicazioni. Tramite queste ho appreso che la gran parte delle poche cose che i migranti portano con sé sono ricordi della loro terra. Molte fotografie contenute in un immancabile cellulare e oggetti di vario genere spesso singolari. L’antropologo Luca Pisoni, autore di un’importante ricerca poi pubblicata in un libro – Il bagaglio intimo, Meltemi linee – parla di bibbie, corani, amuleti vudù, mazze da cricket e magliette di calcio. Insomma tutto quello che può alleviare la nostalgia di un paese che potrebbero non rivedere.   Giustamente, a questo proposito, scrivono V. Pieroni e A. Santos Ferminino – “La valigia del migrante” ricerca finanziata dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali – che quando il migrante parte si attrezza
“….portando con sé la sua valigia dove racchiude il suo progetto di vita e tutto il suo bagaglio fatto di speranze, sogni, nostalgie, paure per il distacco dalla rete familiare, amicale e sociale. Come tale la valigia rappresenta il contenitore più prezioso per l’immigrato, in quanto equivale alla sua identità: li dentro egli racchiude il suo modo di essere, il bagaglio culturale, il progetto di andare a trapiantare altrove la sua vita. Emigrare significa infatti il distacco da quell’ insieme di relazioni familiari e comunitarie che nella cultura dell’origine proteggevano e garantivano sicurezza a ciascun membro della famiglia.”

Ma questi bagagli non sempre giungono a destinazione. Particolarmente esposti alla perdita di esso sono i minori, spesso bambini non accompagnati che vengono provvisti alla partenza di una valigia contenente quanto si ritiene più utile. Il caso di bambini che partono da soli è tutt’altro che marginale. Nell’unica ricerca che ho trovato su questo fenomeno vengono segnalati ben 15000 minori, bambini compresi, che hanno compiuto la traversata da soli tra il 2013 e il 2015. Nella gran parte dei casi, quelli che sono giunti a destinazione non avevano più la valigia.

Non e’ grossa, non e’ pesante
la valigia dell’emigrante…..
C’e’ un po’ di terra del mio villaggio
per non restare solo in viaggio..
Un vestito, un pane, un frutto,
e questo e’ tutto.
Ma il cuore no, non l’ ho portato:
nella valigia non ci e’ entrato.
Troppa pena aveva a partire,
oltre il mare non vuol venire.
Lui resta, fedele come un cane,
nella terra che non da’ pane:
un piccolo campo, proprio lassù…
ma il treno corre: non si vede piu’.
Gianni Rodari




Francesco Accarino: Valigia… amo et aliquando odi

Esortato a scrivere su questo tema, scopro che, da tempo, alla valigia penso spesso.
Anzitutto perché l’ho sempre a portata di mano; poi perché non c’è mese che non la utilizzi, ormai da decenni, per lavoro, per piacere, per ragioni varie. Qualche anno fa, dopo un periodo di maniacale attenzione per la massimizzazione del contenuto ideale, feci anche una presentazione agli amici, Ex allievi del liceo, alla “Ciurma” di Vietri. Poi, più efficacemente, preparai una tabella con le componenti della mia valigia-tipo, in modo da non dimenticare il necessario. Con il tempo, ho constatato di aver memorizzato un archivio di valigie da 2 a 15 giorni,  per lavoro o vacanze a mare, sulla neve, o in altre località: un po’ dappertutto.
Ma i sentimenti tra me e lei non sono tuttora chiari: è una avversaria da sconfiggere quando la riempio? è un mezzo per garantirmi viaggio e soggiorno senza ansie? è una fidata alleata, nell’attesa in stazione, in aeroporto? un’amica che rivedo, sollevato, sbucare dal nastro bagagli? Poveretta! È solo un contenitore! Mi dà quel che le ho affidato: è il mio transfert.

Eppure suscita sentimenti di alterità: è pesante è leggera, è fatta bene, è fatta male. A pensarci bene è un’àncora, contiene quel che sento di aver lasciato, la sicurezza, il calore, l’affetto, la quotidianità di casa. Dovunque io sia, qualunque sia la ragione che mi porta via, la valigia mi ricorda da dove vengo, da dove sono partito, quante miglia ho fatto e, soprattutto, che mi piace tornare.

All’aeroporto di Napoli, alcuni anni fa, comprai un libricino che prometteva aiuto a scegliere e a fare la valigia. Una delusione! Notizie note e arcinote, senza utilità pratica.
Più passa il tempo e più la mia valigia è leggera! In questo sono aiutato dai nuovi materiali di minimo ingombro, atermici, utili per ogni circostanza: smanicati, tute tecniche, tessuti impalpabili e ingualcibili di giacche e vestiti. E, ammetto anche: scopro che, il giorno del rientro, ho sempre più fretta nel prepararla.
Però, confesso che, da qualche anno, quotidianamente utilizzo lo zaino per portare con me quel che mi serve: i fascicoli (che potrebbero essere riposti nella tradizionale borsa dell’avvocato), ma anche e soprattutto una sorta di cassetta per ogni evenienza. Ci sono post it, penne, blocco appunti, biglietti da visita, pennarello, forbici, minispillatrice, prese per cellulare, ombrello pieghevole, disinfettante (residuo Covid), smanicato leggero, caricabatteria, pin e distintivi Lion, ecc. Insomma la sacca di Eta Beta. Sostituisce la valigia? No!…. È la coperta di Linus, una sorta di amuleto contro gli imprevisti. Ma non è la valigia!!!!

Video su come sistemare le valigie

Gli anni passano e la valigia è primaria compagna della notte (anche una) fuori casa, caso mai insieme allo zaino. E, se pur il desiderio di stanzialità aumenta, cedo alle tentazioni. …… Vuoi venire a Bologna? Sì quando …; In udienza a Roma chi ci va?  Io, così posso andare anche a ….; c’è il Congresso a Genova ……..;  c’è l’incontro a Arezzo ……; c’è , c’è, c’è  ….. Cerco di organizzarmi e vengo. E lei, la valigia, remissiva e paziente, ad assecondare le violenti forzature per un inutile maglione che non vuole entrare, a cercare di “dimagrire“ per rientrare nei bagagli a mano, o ad adeguarsi alle recenti decisioni di Trenitalia che dal 1/3/2024 impone una valigia per passeggero.

Nel viaggio senza valigia? Un naufrago!

Vi lascio la mia tabella: potrebbe essere utile.




Enzo Senatore: borsa tuttofare

Più che ad una valigia dedico il mio pensiero ad una mia borsa di lavoro, regalo di laurea, che ho riempito dei più svariati documenti in quasi circa trent’anni di suo onorato servizio.
E’ stata al mio fianco in stagioni totalmente diverse della mia vita ed in contesti assolutamente disomogenei.
Agli inizi avrebbe dovuto contenere solo libri, codici ed appunti di lezioni; in realtà io le detti quella destinazione, ma solo part-time….prevalentemente in concomitanza di corsi di approfondimento e, prevalentemente, di mattina.

Per due volte durante la settimana e in tutti i fine settimana codici, pandette e simili venivano riposti sul tavolo per fare posto, all’interno della borsa, a distinte di gara, documenti di riconoscimento, schemi di allenamento e di gioco che, particolarmente dal 1991 al 1993, utilizzavo per svolgere le funzioni di allenatore della squadra di calcio denominata “Centro Storico”, una formazione amatoriale della quale avevo assunto la direzione inizialmente con i miei amici Marcello Di Domenico e Mario Fimiani- questi ultimi impegnati in campo- e, successivamente, con gli altrettanto amici Enzo Lampis e Marco Antonio Monaco.
Conclusi gli impegni di campo, la stessa borsa veniva da me utilizzata- in quello stesso periodo- per inserire appunti utili per tenere una trasmissione sportiva domenicale a Radio Nova Campania e per la radiocronaca delle partite della Cavese.

Centro Storico…tanti anni dopo

Sottesa all’uso promiscuo di quella borsa di lavoro vi era una finalità poco nobile…. quella di mascherare agli occhi di mio padre i miei molteplici impegni extra studio che egli, a ragione, considerava come delle autentiche minacce per la mia futura realizzazione professionale….
Ritenevo che, vedendomi uscire di casa sempre con quella borsa di lavoro, egli si rassicurasse circa l’assenza di distrazioni rispetto al mio percorso di studi post universitario…..in realtà mi illudevo….una domenica a mia insaputa venne a vedere al campo sportivo di San Pietro una partita del Centro Storico da me allenato…si giocava il derby contro il San Gaetano Pianesi e ad un quarto d’ora dal termine il risultato non si sbloccava….inserii un attaccante al posto di un centrocampista ed il nuovo entrato pochi istanti dopo siglò il gol della vittoria….al mio ritorno a casa, ad ora di pranzo, mi venne dalle spalle e mi disse: ” Però un allenatore che indovina una sostituzione è bravo”.

Senatore Raffaele…mio padre

Quel complimento mi colse doppiamente di sorpresa….in primo luogo, perchè mio padre non era solito farmene e, soprattutto, perchè mai mi sarei atteso un apprezzamento per la mia improbabile attività di allenatore di calcio…..in ogni caso, fu un modo- molto elegante ed efficace- per farmi capire che lui non si era bevuto la mia messinscena dell’uso promiscuo di quella borsa di lavoro….
In ogni caso, quando gli obiettivi professionali furono raggiunti, per un senso di gratitudine , per avermi fatto compagnia in quel tempo giovanile in così tanti e diversi contesti, portai con me quella borsa di cuoio marrone nei diversi posti in cui mi sono trovato ad operare: in provincia di Catanzaro, a Battipaglia, ad Avellino, a Salerno e, per un breve periodo, anche a Roma.
Poi divenne, d’un tratto, troppo grande e non più necessaria perchè la dematerializzazione del telematico aveva eliminato il cartaceo e, dunque, una PenDrive riposta nel taschino della giacca più comodamente svolgeva le funzioni che un tempo erano state di quella borsa.
Così finì sotto la mia scrivania per rimanervi inutilizzata.
In occasione della riflessione sulla valigia “imposta” dal carissimo Carlo ho provato timidamente a cercarla in qualche armadio, essendo stata, nel frattempo, da “ignote mani” rimossa da sotto alla scrivania. Non l’ho trovata ed a quel punto non ho osato chiedere quando, da chi e come sia stata smaltita…messa da parte fisicamente….certamente non dal mio cuore.




Anna Maria Morgera:La valigia della vita

La mia è una valigia piena di ricordi. E’ un lungo viaggio nella vita, iniziato nel 1940, tempo di guerra a Napoli. Da allora non ho mai smesso di viaggiare con la valigia piena di abiti e con la fantasia. A dieci anni feci il primo lungo viaggio in treno diretta a Venezia, città divenuta poi la mia seconda casa. I viaggi più belli sono stati quelli con Raffaele e le mie tre figlie. Avevamo una Miniminor bianca così carica che il portabagagli non fu più sufficiente e comprammo un carrello. Valige? NOOOO bauli e la immancabile tenda.

Ne potrei raccontare di aneddoti! Quando le figlie divennero grandi non vollero più venire con noi, preferivano gli amici. Vere avventure di due coniugi incoscienti. Valle d’Aosta, Courmayeur. Decidemmo di andare su al rifugio, ma la seggiovia era ferma, la signorina della stazione, con moltissima scortesia ci disse: “Le escursioni sono terminate andate a piedi!” Andare dove? Rammentai che al club alpino mi avevano raccomandato di seguire sempre lo stesso percorso numerato. Per salire a Courmayeur era il numero 4 e ci avviammo. La gente ci passava davanti, salutava e spariva, sui prati signore in costume prendevano il sole.

Salivamo mangiando fontina e pane casereccio, l’orologio segnava sempre le 14, arrivammo in un bellissimo alpeggio, su una roccia lessi: 3250 metri, qui la valanga…” O cavolo !- urlai – dobbiamo tornare immediatamente indietro.” A valle l’orologio segnava le 18…avevamo rischiato di essere presi dal buio e perderci. Spagna, anni sessanta la valigia piena di gioventù, settembre un caldo atroce. A Barcellona prendemmo alloggio all’hotel Gaudi. Stanchi per il lungo viaggio in treno andammo a letto, la valigia sul pavimento, aperta. Nella notte sentii il rumore di una fontana aperta, Raffale al mio fianco non c’era, scesi dal letto per andare a cercarlo e mi trovai con l’acqua alle caviglie. La valigia zuppa e le mutande che nuotavano in un mare d’acqua. Intanto qualcuno bussava con forza alla porta. Avevamo allagato l’albergo…il mio signor marito aveva caldo ed era andato a farsi un bagno, ma…ma …. si era addormentato nella vasca da bagno col rubinetto aperto. Ci cambiarono stanza e dovemmo pagare le donne che vennero a mettere in ordine. Poi la valigia è servita per viaggi affatto ameni, per salute Cava-Milano, Milano-Cava. Ora la valigia è un fardello di memore bellissime e tristezze, di rimpianti, di successi e fallimenti… è.. La valigia della vita.




Francesco Puccio: Valigia smarrita

In quel noi c’era la vita che Sofia non aveva potuto vivere con Damian, che non aveva fatto in tempo, come se avesse ripreso a riempire una valigia così piena di sogni e di aspettative da doversi sedere sopra per poterla chiudere.
In quel noi lei ci vedeva due individui, non più tanto giovani, che stavano mettendo un mattone dopo l’altro sulla vita avvenire, che ora erano in due, ma che presto sarebbero potuti diventare tre o quattro, e loro sarebbero stati lì a dargli la mano per portarli a scuola o a una lezione di danza e d’inglese.
E poi quei figli sarebbero cresciuti e avrebbero fatto da soli, avrebbero portato a casa i primi fidanzati e le prime fidanzate, e non si sarebbe fatto in tempo ad abituarsi alle loro presenze che non li si sarebbe più visti, e avrebbero acceso le prime sigarette, di nascosto, fuori al balcone o chiusi nella stanza a sentire musica a tutto volume e a parlare al telefono per interi pomeriggi.
E le urla delle prime litigate e le ribellioni sul modo di educare, le richieste da grandi mentre dentro erano ancora bambini, i borsoni preparati la domenica sera e ritrovati pieni di panni da lavare il sabato successivo, i viaggi sul continente, e le preoccupazioni di una strada da inventarsi col futuro troppo piccolo per poterlo racchiudere in un pezzo di carta.




Rosaria: La valigia del caffè

Creta, settembre 2002 …

Arrivammo all’aeroporto di Heraklion alle 23, dopo un lunghissimo ritardo… sul nastro dei bagagli trovammo tutte le valigie (allora riuscivo a viaggiare in “comitiva”, eravamo addirittura in 6!!), tranne la mia. “Speriamo che arrivi domani…”, “Sicuramente te la consegneranno al più presto…”Interpretai la grande delusione del gruppo come una prova di amicizia, di solidarietà, di empatia…

Quando, dopo tanto trambusto, riuscimmo ad arrivare al villaggio turistico (addormentato e pressocché vuoto) e a trovare, nel buio, la chiave dei nostri bungalows, ripensai alle frasi dei miei amici, alla loro vicinanza e alla condivisione del mio disagio.
Carlo però rimaneva particolarmente silenzioso, cercava di cambiare discorso e sembrava distante dalle mie preoccupazioni.
Volete sapere perché?
Quando gli chiesi: “Se po’ sape’ cche tiene?”, capii tutto: il “disappunto” dei miei “CARI AMICI”, Antonella, Giuseppe, Enzo e Mimmo era dovuto al fatto che il mio amato maritino li aveva messi al corrente che, nella valigia, c’era pure la MACCHINETTA DEL CAFFE’.
La mia vendetta?
Il giorno seguente, la valigia arrivò direttamente al villaggio e, quando i “quattro” lo seppero, il sorriso illuminò i loro volti ma … bevvero il mio caffè solo dopo due giorni e per intercessione di Carlo!!!




Alfonso D’Arco: La valigia – testimone di una vita

Per un vecchio ex “emigrante” come me, la valigia assume il significato di un oggetto iconico che ha accompagnato i continui spostamenti tra la sede lavorativa ed i luoghi del cuore e delle radici, da raggiungere almeno tre-quattro volte l’anno.

Ma il primo ricordo di una mia valigia “autonoma”, non legata agli spostamenti con i genitori, risale a svariati anni prima, agli anni ’60, quando, con due amici decidemmo di fare un viaggio in auto in Ungheria.
Viaggio culturale? Storico? Sociologico? Politico (allora quella Nazione era al di là della cortina di ferro)?
Nooo! E allora qual’ era lo scopo ?
Ebbene, la motivazione sarebbe balzata agli occhi in modo chiaro ed incontrovertibile se solo qualcuno avesse aperto una delle nostre valigie e avesse scoperto che, tra i nostri indumenti, erano accuratamente deposte calze di seta, rossetti  e materiale vario per il trucco. Naturalmente in piccola quantità, in linea con le nostre limitate possibilità economiche.
Indizi di malcelata omosessualità? Nooo! Semplici, tristi e vigliacche esche per ragazze “generose” che, si diceva, abbondavano, da quelle parti.
Oggi la sensazione è quella di una vergognosa espressione di barbarie culturale, ma allora era del tutto normale!!! Addirittura segno di intraprendenza e di superiorità socioeconomica nei confronti di esseri umani in tutti i casi considerati terreno di conquista.

Il ricordo di quella valigia, soprattutto in senso metaforico, ancora oggi, a tratti, mi ritorna in mente, anche perché quel viaggio ha rischiato di modificare del tutto la mia vita, visto che ho rischiato di diventare, anche se per un periodo più o meno breve, cittadino ungherese. E anche per questo episodio ho da ringraziare il mio amico Mariano per avermi saputo consigliare e fermare in tempo, rispondendo all’ accorato appello di due genitori disperati.

Oltre dieci anni dopo, cambio di passo e via con il continuo fare e disfare valigie di tutte le misure per una famiglia perennemente e felicemente in viaggio tra il luogo del lavoro e quello degli affetti e della memoria.

Con grande spazio per l’accudimento di due piccoli figlioli e per il successivo, usuale, trasporto di prodotti alimentari della nostra terra, al ritorno.

E veniamo ai successivi, mitici viaggi in moto per tutta l’Italia e l’ Europa, fino a Capo Nord, quest’ultimo in compagnia con il mitico motociclista e collega Roberto Coletta.
Qui il ricordo è per la crescente abilità di far entrare in valigie/bagagli necessariamente di modesto volume, tutto il necessario. Anche quando si sarebbe dovuti passare da un clima estivo ad uno “artico”.
In queste felici circostanze, la valigia viene ad essere parte integrante del complesso moto-viaggiatori.
E’ lì che si impara a contenere e razionalizzare i bisogni, soprattutto quelli superflui (naturalmente con il senno di poi). Anche, naturalmente, grazie ai detersivi che avevano definitivamente soppiantato le calze e i belletti da trucco come elementi aggiuntivi del vestiario.

E oggi? Oggi la valigia è un oggetto di design, leggero, elegante, colorato (che differenza con quelle, mitiche, di cartone degli anni 50-60’ !!), dove, dimenticando tutto ciò che avevamo acquisito nei lunghi anni di viaggi motociclistici, riusciamo a stipare una quantità “vergognosa” di roba, il più delle volte inutile, ma che ti da’ un senso di sicurezza, quasi di patetica onnipotenza nei confronti dei possibili imprevisti, soprattutto climatici. E poi, perché no, solletica la tua vanità con la possibilità di cambiare il tuo “outfit” (tanto per stare al passo dei tempi) in relazione agli ambienti e, soprattutto, alle persone che si incontreranno e frequenteranno.
 Ed ecco come e perché un oggetto, all’ apparenza tanto comune ed anonimo come una valigia, riesce a diventare un testimone dei tempi che si vivono e dell’intera esistenza di un essere umano!




Rosa Camerlingo: La ricca valigia fra passato e presente

Mia nonna è  sempre vissuta a casa nostra tutti venivano a trovarla, mai un viaggio.
Ed io adesso sto preparando la valigia per andare a trovare i miei amati nipoti. Improvvisamente il passato diventa presente; penso  a mia nonna, al baricentro della nostra famiglia: lei salda come il sole  con i pianeti-figli e i pianetini nipoti che ci muovevamo grazie alla sua forza di gravità. Tutto è  cambiato adesso sono io  che giro intorno ai pianetini nella speranza di essere illuminata.

Al momento della partenza i pensieri volano e mi sento sospesa dal fatto che devo attraversare l’Italia per trovare i miei nipoti , persone che stanno creando una realtà  nuova e vitale ricca di sorrisi e di luce.

Loro mi aspettano cercano la mia complicità, io il loro abbraccio in un gioco di amore incondizionato. Il mio pensiero diventa infantile: inizia il viaggio nel tempo alla ricerca di dinosauri , mostri, pirati,. Ritorno a costruire ferrovie, treni  e castelli  con i LEGO , ecco i dadi: iniziamo il gioco dell’oca oppure compro terreni con il monopoli ….gli occhi del piccolo diventano due stelle lucenti io  ho lo stesso entusiasmo di giovane/mamma.

La valigia mi inonda di emozioni e sentimenti felici tutti ricordi importanti del mio passato ricco di amore che spero non vada perduto. Il sorriso dei nipoti mi illumina e   allo stesso tempo mi intristisce al pensiero dell’inevitabile e successiva partenza. Ed è in quel momento la valigia rischia di diventare un oggetto  ostile.




Gerardo: Pesanti valigie