Carlo: Insopportabile acufene

Il mio amico Goti che soffre di un coriaceo acufene mi dice sempre che il silenzio è il più temibile alleato di questo disturbo. Ascoltare la musica, stare in compagnia di familiari ed amici, vedere un buon film è come rifugiarsi sotto una campana di vetro che tiene fuori l’acuta monotonia del tinnito.

Succede a me, come a tanti altri, una cosa simile.

Se sto con Anna, con Lucia , con Rosaria, se mi faccio riscaldare dal calore dell’amicizia, se mi immergo nella lettura di un libro, se ad  accarezzarmi le orecchie sono  le mie canzoni preferite, se i miei occhi si perdono in immagini e scene accattivanti, se mi misuro con un problema di matematica o con una sfida a scacchi, se esco per una passeggiata nel verde, se dedico le mie ore a questo blog, se sono in viaggio o lo sto organizzando… ecco che i rumori sordi del mondo si attenuano fino qualche volta a scomparire quasi del tutto. La pace e la serenità nel mondo sono diventate rarissime , ma in questi momenti riesco a percepire,  anche se ovattato, il profumo della tranquillità interiore.
Ma le guerre, la merce, la miseria, la miopia e gli interessi, la crudeltà, l’arroganza, i bambini e le donne massacrati, le bombe, i soldi sporchi di sangue sono testardamente lì fuori e riescono sempre come un cavallo di Troia a penetrare nella mia mente anche se non leggo i giornali, anche se non accendo la tv. Appena alzo gli occhi il panorama grigio , spietato e doloroso mi appare immodificabile, anzi sempre più cupo e più nero.

Uguaglianza, libertà, fraternità, dignità come fede, speranza e carità sono ormai solo parole sempre più desuete e prive di forza.
Oscar Wilde diceva di essere socialista perché vedere la sofferenza degli ultimi gli impediva di vivere come individuo libero.  A me oggi la brutalità di questo mondo induce solo un senso di impotenza, di inadeguetezza ed i momenti anche gioiosi e leggeri della giornata sono sempre appoggiati su una amara vellutata di erbe indigeste.

Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio;
sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ’l disio.
E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:

e quivi ragionar sempre d’amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i’ credo che saremmo noi

Ma credo che non ci siano, se mai siano esistiti, approdi  o buoni venti per  questo vasel nel quale caricare le valigie mie e di altri trenta,  come sembrano non esserci per quanti, molto ma molto meno privilegiati di me, cercano di fuggire  dalla  miseria e dalle mitragliatrici su affollatissimi barconi con i loro bagagli di emigranti di cui parla Enzo. Per tanti di loro solo la morte  e la  spietata insensibilità di chi potrebbe e dovrebbe accoglierli ma reagisce  come il satollo riccone che, uscendo dal ristorante, al  mendicante che chiedeva l’elemosina perché aveva fame,  rispose “Beato te, io mo sto schiattando!”.

Il buon papa Francesco dice “Siamo tutti fratelli”.  No!  Su questo non sono d’accordo.   Quel satollo signore come tutti quelli come lui non sono miei fratelli; un tempo avevo creduto di poter svuotare le loro valigie e distribuirne il contenuto ora mi accontenterei di  poterne fuggire  lontano in un luogo per liberarmi dell’acufene che ogni giorno mi tormenta con l’insopportabile rumore delle loro falsità, della  loro ipocrisia e dei  loro non 7 ma 700 vizi capitali; ma l’isola che non c’è purtroppo veramente non c’è .