Massimo Astore: il bastone di Cartesio, l’acqua di Kant, Papà e Cacciari sulla Badia

“‘N c’aggio capito manc’o cazz ma è stato bellissimo”

Eh si perché tu t’aspetti il Cacciari che fa l’opinionista, come opinionano tutti ora, quello che polemizza con la scienza dei vaccini, che concretizza i dubbi sull’Ucraina, che sale sulla lista nera dei proscritti del corriere della sera. Ma c’è una differenza tra lui e noi, tra lui e l’opinionificio industriale di media e social, dove tutti sappiamo tutto e mettiamo bocca su tutto. Che lui opiniona e parla seduto sul terrazzo della conoscenza, con una dialettica fenomenale, con argomenti che poggiano su un sapere che ha una profondità storica.
Così arriva, prima di lui parlano quattro sciagurati che sponsorizzano l’evento, compreso un’assessore di destra che se potesse, Cacciarone gli sputerebbe in un occhio. Poi si siede e inizia a parlare. Dapprima parla la lingua degli esseri umani, racconta del momento in cui la filosofia si scinde dalla scienza e come da allora la fisica sia divenuta solo appannaggio della matematica. Io invece da quel momento in poi mi sono totalmente perso. Non sono più riuscito a stargli dietro, come quando vado in montagna con mio padre. Uguali…il mio quasi novantenne baffetto e Cacciarone.

E Cacciarone inizia a camminare nel suo bosco, e noi disorientati, e mio padre trova la strada pure se lo bendi e lo butti in vallone qualsiasi, lui alza gli occhietti sopra il baffo, con la sua aria di normalità e imbocca un sentiero. E Cacciarone bello smuove le foglie della scolastica, rivela essenti ed enti, calpesta Liebnitz e Kant come hummus di castagno. E io affanno dietro a papà e dietro a Cacciarone ma sento tutta la bellezza e mi sento ignorante e pigro, e mi viene il fiatone e mi accuccio ad ascoltare. Ta fisicà, e l’amore per la conoscenza deve trasformarsi in conoscenza già acquisita. Amare vuol dire non possedere. Inizio a sudare nel bosco e mi acquieto nel palchetto. Accetto la mia ignoranza ed inizio a divertirmi. Cacciari è solo, solo in tutti i sensi in tanti lo ascoltano ma lui è partito da solo, parla da solo, non si accorge di noi, qualcuno si offende, altri mostrano interesse, ma è meraviglioso. Parla a braccio per uno ora e mezza, forse più. Da l’idea di parlare con se stesso, e a volte si risponde. Non fa un movimento che non sia bocca. La stessa posa, gamba accavallata come nella foto, la stessa foto avrei potuto ripeterla a ritmi regolari di un quarto d’ora, sempre uguale. Cacciarone è in trance.

Mio padre arriva a un bivio tra le acacie tagliate e il brullo appena bruciato. Una via scende e una sale. Spero nella discesa, sono madido, le gambe mi tremano. Lui non si gira, sposta il bastone, passo regolare, ritmico, indica la salita. Cazzo. Vado. Vorrei buttarmi a terra. Vorrei uscire dal teatro. Massimino dice che tutto oggi è legato al numero, tutto si riduce a numeri, quantità, e alcuni grandi filosofi del passato erano matematici. Lo erano Cartesio e Liebnitz. Ma per un attimo sussulta e cambia posa. Uno degli organizzatori continua a immortalarlo col suo smartphone e lo distrae, lo desta dalla meta e lo porta nella fisica. Essente.
“- scusa, ti togli per favore con quest’aggeggio?- e si ricompone nella foto. E riparte. Il bosco dirada e mio padre arriva alla vecchia cartiera, un ruscello appare rigoglioso. Non indossa attrezzature da trekking, ha le sue scarpette scassate da ginnastica, il cappellino al contrario sulla testa quadrata, e cammina, cammina. Mi rivela che questa è la sua passeggiata che fa ogni giorno. Ha il bastone di nocciolo, semplice e leggero, non va per funghi, non cerca paesaggi da postare, cammina, cammina soltanto, cammina solo. Provo un invidia sana, una sana ammirazione, mi sento più vecchio di lui seminovantenne. Mi sento grato e purificato dalle parole di Massimone. Nel dettaglio c’ho calpito poco, sembrava un gramelot di Dario Fó, una poesia ermetica, ma tanto mi è entrato, tanto mi ha dato. Io adoro la parola, e avere il privilegio di sentirla maneggiare da un fuoriclasse, è come farsi una doccia, un bagno che ti ripulisce da tante parole inutili, spropositate, volgari, violente. La vegetazione si dirada.

Si intravede la grotta del Bonea, torna l’asfalto. Il passo è costante, passiamo il santuario dell’Avvocatella, la curvona con la croce, davanti al tabacchi solo le rughe hanno modificato gli astanti. Passiamo l’asilo, il noce, il cancello rosso. Arriviamo al garage, come sempre spalancato. Mio padre posa il suo bastone nel suo angolo, il cappello lo inzeppa sul bastone, prende il bottiglione da 5 litri di acqua della Badia e appanna la porta. Fa finta di chiuderla infilando un mazzariello biforcuto là dove andrebbe il lucchetto e sale. Io prendo l’ascensore, lui rigorosamente a piedi. In mano, l’unica cosa che raccoglie nei suoi passeggi:Un fiore per mia mamma.