Alle volte, mi capita di sognare di avere vent’anni. Vent’anni, ma con la testa che mi ritrovo ora che ho superato i quaranta. E così, immagino di sapere illusoriamente tutto ciò che dovrei fare ritrovandomi con molto più tempo davanti. Poi, mi sembra di capire perché questo pensiero sia irrealizzabile. Perché una persona che riuscisse in questo proposito potrebbe soltanto essere un semidio o un mostro. Perché una vita senza difficoltà, senza la sfida dell’errore, del sentirsi incompleti in qualità di esseri finiti, senza la gara contro il tempo che scorre, non sarebbe vera vita. Per la via incerta di questo pensiero, che è quasi un sentimento, mi ritrovo spesso raccolto in solitudine con il mio tempo, come se fossi di fronte ad uno specchio cosmico. Ed è lì che posso assumere le sembianze più svariate. Sembra dipendere tutto da me, ma, al contrario, è una lotta contro qualcosa e, alle volte, contro ogni cosa, corpo a corpo, ogni giorno. 


Che sia un sentire, alle volte soltanto bello o brutto a seconda del caso, o che sia, forse in senso più ampio, una condizione dell’animo umano, vivo la solitudine come qualcosa che, fino a un certo punto, dipende da me.

Mi sento come un marinaio di fronte al mare calmo, ma di una calma che può rapidamente svanire: mare agitato e tempesta sono in agguato. E so pure che tanti sono finiti naufraghi a schiantarsi sulle alte coste della solitudine, dal bianco d’ossa. 
Cerco di navigare, dunque, con prudenza cercando di diventare amico degli dei del vento e del mare. 

Perché lo sento che la solitudine può essere un gran male, se diventa isolamento e vita inautentica. Se diventa una bolla di indifferenza in cui nascondersi e guardare il mondo dalle finestre social mentre ogni notizia, anche la più terribile, scorre nel flusso. E odio l’indifferenza e odio anche la solitudine, se diventa chiusura, barriera tra se stessi e gli altri, per paura di soffrire, per vergogna dei propri sentimenti – anche per una strana difficoltà che si può incontrare nell’elaborarli – o per innata timidezza. 
Guardare una persona negli occhi è tra le cose più interessanti che possano capitare perché gli occhi dicono sempre qualcosa che le parole non possono dire. So anche che può suonare come l’ennesima tirata moralistica, ma in tempi in cui gli schermi delle scatolette digitali occupano molto spazio e tempo, una seppur timida ricerca degli occhi fa parte del calore delle mie giornate. Staccare dal telefono è diventato difficile per tutti e, anche per questo motivo, può capitare che le giornate passino senza lasciare abbastanza segni in profondità. E già, di per sé, non è mai facile stabilire connessioni veramente intime con l’altro. Ma si tratta di momenti preziosi nella vita. Ed è fortunato chi non si fa scoraggiare dagli ostacoli di ogni giorno, chi ci prova sempre riuscendo a creare scintille di spirito, chi non smette di sfregare pietre tenendo viva l’attesa del grande fuoco contro tutto il freddo intorno.Â

Solitudine e isolamento tendono a somigliarsi spesso anche per via del politicamente corretto che imperversa sui social. È diventato più difficile incontrare l’altro perché la libertà di espressione viene significativamente limitata: diffidenza e paura di offendere o essere offesi fanno molta ombra. I musi lunghi e un perbenismo, sempre più affettato e ai limiti della paranoia, rendono tutto più freddo e triste.
La solitudine, però, può anche essere un momento bello di vita, se riesce a far parte di un processo di liberazione – anche attraverso scelte scomode o comunque difficili – dalla heideggeriana vita inautentica, dalla vita dei “si dice” e dei “si conviene”, dalla vita delle opportunità e degli opportunismi. In tal caso, meglio soli che male accompagnati, come dice l’antico adagio.

La solitudine può aiutare a cercare se stessi, a sentire la propria voce. Per la via di questa ricerca, si può trovare il modo di esprimersi meglio e si può raggiungere una maggiore armonia con gli altri. E amo la solitudine, se mi mette nelle condizioni di ricercare il mio io interiore e di interrogarmi sul senso di questo stare al mondo, sul senso di questa vita – questa “isola in un Oceano di solitudine”, come scrisse il poeta Khalil Gibran. La amo quando mi aiuta a cercarne dei segni e a trovare il modo di lasciarne almeno uno. 

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