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Difficile definire la solitudine perché ha mille sfaccettature, si è spesso soli pur stando in mezzo alla gente e avendo intorno amici e famiglia. La solitudine è una condizione interiore esclusiva che non si vede, la sente solo chi la vive. La più brutta solitudine è perdere le motivazioni che mantengono viva la vita. Provai la più profonda solitudine dinanzi a mio padre agonizzante. L’impotenza rende soli. Solitudine non è essere soli. A me piace stare da sola sulle terrazze affacciate sulla baia della Calanca a Marina di Camerota, oppure seduta presso la torre delle Viole a contemplare il mare. Amo il silenzio delle spiagge e dei sentieri vuoti d’inverno, amo la quiete della città di notte. La solitudine è buio dell’anima e il buio spaventa perché nasconde mille incognite.   È quella del bambino che piange quella che erroneamente identifichiamo come sindrome dell’abbandono. Questa sindrome, benché non si voglia ammettere, ci accompagna tuta la vita. La solitudine è la paura di essere soli, sembra un gioco di parole, la realtà è che qualcosa si rompe dentro e siamo sopraffatti dallo smarrimento. Solitudine non è per esempio paura della morte, è la paura della sofferenza, è ritrovarsi in una dimensione ribaltata rispetto alla perdita di una persona cara e ad ogni altra dimensione. La solitudine rassomiglia a qualcosa che cade rompendosi. Quando qualcosa cade per terra si sente il rumore, a volte è fragoroso.  Ma quando si spezza dentro accade in assoluto silenzio. Io, però, nella mia solitudine ho sempre voluto che questa fosse evidente, che altri ascoltassero, che fosse almeno come un lieve suono di campana, invece era silenziosa, quel rumore c’era, esisteva era interno, ed era un urlo che nessuno all’infuori di me poteva sentire. Un boato così forte che le orecchie rintronavano e la testa faceva male. Si dimenava nel petto; ruggiva come la mamma orsa a cui è stato rapito il cucciolo. Era un’enorme bestia intrappolata che si agitava, presa dal panico e gridava come un prigioniero davanti ai propri sentimenti. La solitudine è così nessuno ne è indenne. È selvaggia, infiammata come una ferita aperta, esposta all’acqua salata del mare, spezza il cuore…. E non fa rumore.

La solitudine! Ore trascorse a pensare e a rivivere i nostri gesti, le parole, la gioia, fa male questo dolore che non se ne va mai. Mi sono sentita spesso sola, come un’intrusa nella mia stessa anima. Penso spesso che la Terra possa sentirsi molto sola in questa parte dell’universo, perché non c’è nessuno come lei, almeno nelle vicinanze. Nella solitudine io mi sento così, come la Terra.  Quanti fulmini, quanta indifferenza!

Da ragazza sognavo ad occhi aperti che, come da un mondo parallelo, qualcuno mi combaciasse e venisse a salvarmi. Sognavo ancora seduta sulla mia panchina in riva al mare Ma non si sedeva mai nessuno accanto a me, su quella panchina. Ecco perché la ricordo.   Una estate, una sera qualunque. Non so dire se ci fosse già prima che mi sedessi, ma c’era là, accanto a me, su quella solita panchina, non parlava, dondolava i piedi ed era a testa bassa: una bambina. Ogni tanto le davo un’occhiata, era tutta sola. Volevo sorridere come faceva lei o rendermi innocente come la sua immagine. Perché non aveva paura della strada deserta? Provavo a parlarle, ma non ci riuscivo, sentivo di sforzarmi e mi veniva da piangere. La osservavo con gli occhi lucidi e abbassavo lo sguardo sui miei piedi fermi. Chiunque ci avesse guardato, avrebbe capito la differenza tra l’essere bambino e il diventare adulto, tra la spensieratezza e il peso del mondo sui pensieri. Non è passato molto tempo da quella sera, da quella volta che mi sentivo un nodo soffocante in gola. Pochi anni. Nel frattempo sono corsa via dalla mia realtà, ho lasciato tutto ciò che credevo mi rallentasse o mi creasse costrizione. Pensavo fosse un sollievo cambiar vita, pensavo fosse possibile non sentirmi più sola. Ma sono sempre sola, lo sono davvero, sola con il corpo e con il cuore, è come non avere più nulla nemmeno il passato. La mia casa è laggiù sul mare. Da qui, dal mio “dentro” non si vedono nemmeno le stelle. È come avere sempre un cappello in testa e un collare lungo il collo, non puoi alzare il capo e non vedi altro che il solito colore e anche se qui piove sempre, non ci sono i miei fulmini sul mare, nessun ruggito del cielo, se non la mia voce che pare così debole sul manto della gente … Il tempo vola, incontrollabile, indifferente, mi sfugge e mi svuota, allontanandomi da quella che ero e dai sogni di ciò che avrei voluto essere. Perdo il senso delle mie passioni, pensando di raggiungerle, le ho abbandonate. Vorrei dipingere il sorriso di mia madre sulle pareti. Vorrei, se proprio devo piangere, tornar sulla mia bianca panchina. Vorrei tornar bambina …

Che fai?”, le ho chiesto in sogno questa notte. La bambina che avevo incontrato quell’estate continuava a dondolare con le gambine e a sorridere. Non avevo il nodo in gola.
Perché sei tutta sola? –  Lei mi guarda ancora.
Non sono sola.– risponde. –
Rimango stupita, e lei ride: – Ci sei tu …
Davvero ti faccio compagnia? –  le chiedo rincuorata. Lei fa cenno di sì con la testa. –
Perché muovi sempre le tue gambe, non ti stanchi mai? –
La bimba si avvicina, sembra volermi sussurrare un segreto:
Tolgo la sabbia dai piedi … – mi dice. –

 Io l’abbraccio forte forte. Questo ho capito, questo faccio: abbraccio la mia infanzia, poiché crescere ci rende soli … la spensieratezza e l’innocenza dei sogni bianchi, questo perdura nei nostri occhi e solo così potrò avventurarmi senza spegnermi.  

2 thoughts on “Anna Maria Morgera: l’urlo silenzioso della solitudine

  1. Stupende parole, Anna Maria, stupende considerazioni, che capisco fino in fondo perché ci convivo pure io, con la solitudine, quella vera

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