Per un vecchio ex “emigrante” come me, la valigia assume il significato di un oggetto iconico che ha accompagnato i continui spostamenti tra la sede lavorativa ed i luoghi del cuore e delle radici, da raggiungere almeno tre-quattro volte l’anno.
Ma il primo ricordo di una mia valigia “autonoma”, non legata agli spostamenti con i genitori, risale a svariati anni prima, agli anni ’60, quando, con due amici decidemmo di fare un viaggio in auto in Ungheria.
Viaggio culturale? Storico? Sociologico? Politico (allora quella Nazione era al di là della cortina di ferro)?
Nooo! E allora qual’ era lo scopo ?
Ebbene, la motivazione sarebbe balzata agli occhi in modo chiaro ed incontrovertibile se solo qualcuno avesse aperto una delle nostre valigie e avesse scoperto che, tra i nostri indumenti, erano accuratamente deposte calze di seta, rossetti e materiale vario per il trucco. Naturalmente in piccola quantità, in linea con le nostre limitate possibilità economiche.
Indizi di malcelata omosessualità? Nooo! Semplici, tristi e vigliacche esche per ragazze “generose” che, si diceva, abbondavano, da quelle parti.
Oggi la sensazione è quella di una vergognosa espressione di barbarie culturale, ma allora era del tutto normale!!! Addirittura segno di intraprendenza e di superiorità socioeconomica nei confronti di esseri umani in tutti i casi considerati terreno di conquista.
Il ricordo di quella valigia, soprattutto in senso metaforico, ancora oggi, a tratti, mi ritorna in mente, anche perché quel viaggio ha rischiato di modificare del tutto la mia vita, visto che ho rischiato di diventare, anche se per un periodo più o meno breve, cittadino ungherese. E anche per questo episodio ho da ringraziare il mio amico Mariano per avermi saputo consigliare e fermare in tempo, rispondendo all’ accorato appello di due genitori disperati.
Oltre dieci anni dopo, cambio di passo e via con il continuo fare e disfare valigie di tutte le misure per una famiglia perennemente e felicemente in viaggio tra il luogo del lavoro e quello degli affetti e della memoria.
Con grande spazio per l’accudimento di due piccoli figlioli e per il successivo, usuale, trasporto di prodotti alimentari della nostra terra, al ritorno.
E veniamo ai successivi, mitici viaggi in moto per tutta l’Italia e l’ Europa, fino a Capo Nord, quest’ultimo in compagnia con il mitico motociclista e collega Roberto Coletta.
Qui il ricordo è per la crescente abilità di far entrare in valigie/bagagli necessariamente di modesto volume, tutto il necessario. Anche quando si sarebbe dovuti passare da un clima estivo ad uno “artico”.
In queste felici circostanze, la valigia viene ad essere parte integrante del complesso moto-viaggiatori.
E’ lì che si impara a contenere e razionalizzare i bisogni, soprattutto quelli superflui (naturalmente con il senno di poi). Anche, naturalmente, grazie ai detersivi che avevano definitivamente soppiantato le calze e i belletti da trucco come elementi aggiuntivi del vestiario.
E oggi? Oggi la valigia è un oggetto di design, leggero, elegante, colorato (che differenza con quelle, mitiche, di cartone degli anni 50-60’ !!), dove, dimenticando tutto ciò che avevamo acquisito nei lunghi anni di viaggi motociclistici, riusciamo a stipare una quantità “vergognosa” di roba, il più delle volte inutile, ma che ti da’ un senso di sicurezza, quasi di patetica onnipotenza nei confronti dei possibili imprevisti, soprattutto climatici. E poi, perché no, solletica la tua vanità con la possibilità di cambiare il tuo “outfit” (tanto per stare al passo dei tempi) in relazione agli ambienti e, soprattutto, alle persone che si incontreranno e frequenteranno.
Ed ecco come e perché un oggetto, all’ apparenza tanto comune ed anonimo come una valigia, riesce a diventare un testimone dei tempi che si vivono e dell’intera esistenza di un essere umano!
Grazie per questo ricordo coraggioso ( in tempi in cui è d’obbligo il politically correct ) e spesso tendiamo a ricordare solo ciò che da di noi l’immagine migliore.